Un libro per i freelance e per giunta digitali potrebbe sembrare in un certo senso un po’ “astratto” visto che nella categoria freelance – considerata, spesso, come alternativa a chi è dipendente – potrebbero rientrare diverse tipologie di professionisti.
E invece vi possiamo dire che il manuale scritto da Barbara Reverberi, giornalista e professionista della comunicazione, dal titolo “Freelance digitali” ed edito da Maggioli (collana Digital Generation diretta da Gaetano Romeo), è un concentrato di consigli pratici che riguardano non solo la diversa modalità di lavorare, ma soprattutto tutto quello che può servire per la gestione delle finanze, fare un preventivo, impostare un contratto di lavoro autonomo ecc…. Ma anche come utilizzare i social media per il personal branding, i luoghi dove lavorare e tanto altro ancora. E questo perché nelle 250 pagine del testo ci sono non solo i consigli di Barbara, ma anche di diversi professionisti di vari settori (giornalisti, SEO specialist, commercialisti, blogger, avvocati ecc…) che hanno voluto condividere la loro esperienza con chi sta muovendo i primi passi in questo mondo ma anche con chi ha la partita IVA da tempo, indipendentemente dal lavoro che fa.
Per capirne di più ne parliamo con l’autrice che raggiungiamo via Google Meet.
La prima domanda è un po’ provocatoria, ma visto il tema anche necessaria: si possono mettere tutti i freelance in un’unica categoria e trattarli, poi, come una categoria a parte? Perché un libro proprio per loro? “Parto rispondendo da quest’ultimo punto: a mio avviso, prima di questo manuale non esisteva nulla che desse una voce unica. C’erano libri sulla partita IVA o sul trovare lavoro tramite il web, ma mancava qualcosa che facesse capire chi è il freelance oggi e ancor di più cosa può diventare nel post Covid19. Sono infatti convinta che la sua voce crescerà – perché crescerà anche il problema del non avere un lavoro – e una guida pratica per diventare imprenditori di se stessi potrà essere utile. Certo, è vero, è difficile parlare di una categoria di freelance perché di fatto come tale non esiste. Ma bisogna considerare che, come forza lavoro, in Italia ormai siamo 3 milioni 500mila, quindi tutt’altro che trascurabili. E che, in un momento in cui le persone si trovano in cassa integrazione o aspettano di capire cosa l’azienda deciderà di fare riguardo al loro futuro, una guida simile può essere utile anche per un dipendente. Anche chi ha uno stipendio stabile infatti deve pensare a un piano B con serietà, a un lavoro che possa avere a che fare con le sue passioni visto che il posto fisso per come lo conoscevamo non esiste più. Che l’Italia, poi, sia la prima in Europa per quanto riguarda il numero di freelance non è un caso: noi siamo un paese di creativi ed è a questa nostra capacità di creare un proprio luogo nel mondo che dovremmo sapere riportare a galla per capire se ci possiamo attivare con un nostro business online”.
Chi è il freelance oggi? E non è meglio essere definiti liberi professionisti? Se no, cosa cambia? “Il freelance oggi è una persona che si sa reinventare, che usa gli strumenti online, che capisce che è importante avere una propria specificità. È una persona che sa fare rete, ed ecco perché anni fa è nato il Freelance Network di cui sono presidente, che ha un suo Go-team e un gruppo Facebook formato da più di 600 membri. L’usare il termine freelance, anziché libero professionista, è voluto e la missione del network è proprio quella di restituire valore a questo termine che solo in Italia ha un retaggio di incertezza e precarietà, mentre negli USA, per esempio, è spesso identificato con il reporter “figo”. E tutto questo dipende da noi: se come freelance impariamo a lavorare insieme per piccoli progetti, ci smarchiamo anche da quel senso di incertezza che abbiamo. Ritengo che possiamo sognare in grande e non credo più che l’espressione libero professionista – spesso associata all’avvocato, al commercialista – sia una cifra distintiva. Anche gli stessi legali, i commercialisti hanno capito che è importante fare rete. Il nostro network, così come il libro che ho scritto, ospitano diverse professionalità: non solo giornalisti, ma anche commercialisti, avvocati, formatori. Quel che conta è portare avanti una buona idea e non dimenticare mai che lo fai per gli altri. Se lo fai così, se metti in circolo questa energia, se superi la vecchia concezione del libero professionista chiuso nel suo ufficio (per chi ce l’ha ancora), allora ce la puoi fare. Che poi è anche quello che emerge da un libro che consiglio vivamente “Tutto quello che vuoi tu. 40 lezioni per una nuova specie di imprenditori” di Dereck Sivers. Un imprenditore con una storia molto particolare che ha messo sempre il cliente davanti a se stesso e dice di non fare mai niente per soldi, ma per aiutare gli altri. Inoltre, così facendo, metti anche in atto quella parte “free”, ossia di libertà che è intrinseca in chi lavora come freelance che non fa solo quello che dice il cliente, ma che resta “proprietario” di se stesso.
Hai dedicato un intero capitolo ai freelance del web, parlando delle varie opportunità. Che caratteristiche tecniche e soft skills servono per lavorare? E chi nel digitale offre pià possibilità? “La pandemia ha evidenziato come il digitale sia fondamentale e dobbiamo ammettere che prima non avevamo questa consapevolezza. Come dicevo, quello che conta è il “farlo per gli altri”. Per esempio, nel libro ho provato a fare questo con chi, come freelance, magari non sa la differenza tra fattura elettronica e pdf. Così come faccio nel podcast dove ospito diversi professionisti e do consigli pratici. Altrettanto importante, quanto alle soft skills, è sapere circondarti di tutti quegli esperti che, ognuno nel suo settore, può dare il tuo contributo, non provare a fare tutto da sé. Questo aiuta l’economia e se ti trovi in un momento in cui magari non sei in grado di pagare un webmaster un sito, puoi comunque fare uno scambio di competenze. Anche questo è un modo per fare network. Quanto alle skill tecniche, per essere trovati sul web come freelance è, a mio avviso, importante lavorare anche sulla scrittura in ottica SEO, ma anche capire qual è il bisogno e approfondirlo. Bisogna scegliere una sezione del digitale e specializzarsi. Quanto a chi “offre” più possibilità, a mio avviso, in questo momento, per quello che abbiamo vissuto, sono le start up che hanno bisogno e stanno crescendo. Se ci pensi, esse sono molto in linea con la mentalità del freelance che magari entra con una funzione e poi diventa parte di quella start up. A ogni modo, consiglio a tutti i freelance di avere un proprio sito personale, è fondamentale come biglietto da visita, così come di puntare tanto sulla formazione”.
Quali sono le vere difficoltà del freelance adesso? Qualche giorno fa hai dedicato un podcast alla stanchezza di cui si parla sempre troppo poco, quanto conta e che stanchezza è? “Le difficoltà di oggi – specie post Covid – riguardano sicuramente il fatto che dobbiamo, per forza di cose, cavarcela con tutte le problematiche di stampo amministrativo, per esempio. Basti pensare, nel caso dei giornalisti, che è stato anticipato il pagamento dei contributi minimi a fine luglio anziché essere a settembre. E poi bisogna capire fin dall’inizio che non tutto quello che entra dei pagamenti è nostro: ti “salvi” se ne sei consapevole da subito. Un’altra difficoltà è la solitudine, come abbiamo visto durante il lockdown, e il fatto che bisogna considerare anche il proprio benessere psicofisico. Evitare di tirare fino allo stremo e, così come progettiamo appuntamenti, telefonate, dovremmo fissarci delle pause prescritte. La difficoltà del freelance, spesso sta nell’ascoltarsi davvero e nel considerare i propri bioritmi. Piuttosto che stare ostinatamente davanti al pc, mi fermo un attimo, faccio un respiro e, se mi serve, una pennichella. Essere consapevoli ci risparmia la grande difficoltà di arrivare stremati fino a sera, di sentirsi frustrati perché non si sono chiusi i propri “task”. Invece, il nostro cervello ha bisogno di chiudere gli anelli e per farlo bisogna mettersi delle attività che sono raggiungibili. Se riesci a chiuderle, anche se non hai fatto tutto quello che avevi previsto, avrai comunque fatto le cose essenziali. Sono cose di cui parlo anche nel podcast dal titolo “Una cosa sola”. Quanto alla stanchezza mi sono resa conto che in questo periodo di lockdown, tra formazione, webinar, abbiamo avuto davvero troppo, qualcuno diceva che aveva bisogno di silenzio, di fare detox, ma io credo che bisogna capire quando è il momento di fermarsi, senza per forza dichiararlo al mondo. Bisogna capire dov’è la stanchezza. Dove si trova fisicamente, per scioglierla. Ascoltiamo dov’è e portiamo lì il nostro respiro”.
C’è una sorta di check list da spuntare per capire a che punto si è come freelance e avere chiare tutte le caratteristiche necessarie? “Devi avere una dose di determinazione infinita, ci si può anche allenare nella determinazione purché lo si faccia, altrimenti rischi di perderti. Se ti sembra di non averla, devi fare qualcosa per capire perché non ce l’hai e come farla crescere dentro di te. Ancora, la resilienza: la capacità di non farsi schiacciare dalle situazioni come il cliente rompiscatole. Se quando ti dice che quello che hai fatto non va bene e la cosa ti mette in crisi, devi fare una riflessione di un altro tipo, evitando di sentirti in colpa.. Piuttosto, consiglio di cambiare prospettiva e pensare al perché non sia andata bene, in modo da migliorare. Inoltre, bisogna valutare la differenza, tipica dell’allenamento sportivo, tra efficienza e autostima. La prima riguarda il fare non l’essere, la seconda sì. Bisogna dividere questi due stati: nell’aspetto dell’efficienza puoi sempre migliorare, ma devi tenere sempre alta l’autostima. Altrettanto importante è l’equilibrio, non tanto nella gestione del tempo, ma nella percezione del tempo che cambia davvero quello che facciamo. Dobbiamo evitare di dedicarne troppo a una cosa e crearci sempre dei momenti per lo studio, l’aggiornamento. Lettura di libri, di blog, di riviste che aprono la mente sono fondamentali. Dobbiamo poi puntare sulla flessibilità e anche sul problem solving. E, se mi posso permettere, allenare la capacità di visualizzare cosa facciamo: io uso le mappe mentali e anche l’agenda cartacea con i pennarelli colorati. Per esempio circondo con un rettangolo blu quella cosa che devo fare per forza nella giornata, di verde la camminata, arancio la pausa, marrone il cliente che mi dà diverse noie. Anche questo conta per gestire al meglio se stessi”.