Che il mondo del lavoro sia in continua trasformazione ormai è qualcosa con cui tutti, chi più chi meno, stiamo avendo a che fare. Per chi lavora in ufficio i giorni in sede sono diminuiti e per chi lavora in modalità smart working l’ufficio è sempre più la propria abitazione. In mezzo a tutto questo esiste, resiste e si trasforma il coworking, ossia la possibilità di lavorare in uno spazio condiviso e in sicurezza, abbandonando le mura della propria casa per qualche ora e avendo la possibilità di continuare a coltivare relazioni con altre persone.
In tempi di pandemia però gli stessi coworking sono cambiati: se prima erano situati per lo più in centro e in quartieri non centrali, comunque facilmente raggiungibili, adesso diventano sempre più di quartiere. E questo perché, nei vari passaggi da zona gialla ad arancione e poi rossa, lavorare nel posto in cui si vive, uscendo comunque da casa, è un’opportunità tutt’altro che trascurabile.
Lavorare vicino casa e a 15 minuti: come si muove Milano. Di questo e di come nel mondo del lavoro sia entrato sempre più il concetto di prossimità, si è parlato nell’incontro di lunedì 15 marzo dal titolo “Lavorare vicino a casa: Coworking e Near working per la città a 15 minuti” organizzato dal Comune di Milano che ha messo allo stesso tavolo virtuale – il tutto è avvenuto su YouTube – istituzioni, ricercatrici universitarie, imprese e la rete Cowo®, fondata da Massimo Carraro, che ha creato il primo coworking nel 2008.
Ad aprire l’incontro è stata Cristina Tajani, assessora alle Politiche per il Lavoro, Attività Produttive e Commercio del Comune di Milano, che ha ricordato come la città abbia investito e investa tuttora nel coworking per il quale, come sappiamo, ha fatto da apripista tanto da diventare in Italia “la capitale del coworking”.
L’elenco di qualità del Comune e il bando attivo. A Milano ne esistono più di 100, distribuiti in vari quartieri e il Comune li ha raccolti in un elenco di qualità, costantemente aggiornato e cui i vari coworking possono accedere rispondendo al bando aperto fino al 31 dicembre 2021.
I requisiti che devono avere sono vari: tra questi l’essere pienamente operativi al momento della presentazione della domanda, avere non meno di 10 postazioni, spazi e servizi comuni, un sito web che illustri le caratteristiche ed essere in regola “con le prescrizioni normative e regolamentari in materia di contenimento del Covid -19”. Questo perché, come ha detto la Tajani durante l’incontro: “Il Comune ha deciso di accompagnare il percorso spontaneo di nascita di coworking, anche per organizzare il lavoro che allora era in crisi (si fa riferimento al 2008 quando è nato il primo, ndr). Vogliamo essere la prima amministrazione a sperimentare nuovi luoghi e nuovi modi di lavorare che si pongano in sintonia con la costruzione di una Milano a 15 minuti e contribuiscano a ridisegnare il modo di vivere e fruire della città e dei suoi servizi post pandemia: lo smartworking ci accompagnerà anche dopo l’emergenza sanitaria. Dobbiamo quindi lavorare su contrattazione collettiva e politiche pubbliche in grado di limitarne gli effetti negativi, come il confinamento domestico, ed enfatizzarne quelli positivi, come il risparmio di tempo negli spostamenti e la migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro”.
Accanto al coworking sta emergendo il concetto di near working, ossia del lavorare vicino casa che anche noi di Kong News avevamo raccontato parlando dell’aumento degli uffici vicino alle case dei lavoratori.
Durante l’incontro infatti sono state presentate tre interessanti ricerche attraverso cui si è analizzata la distribuzione dei coworking a Milano, la loro evoluzione e come questi possano contribuire al concetto di near working. Ricerche che vagliano la situazione presente ma danno degli spunti anche sul futuro che sarà all’insegna della prossimità, dell’ibridazione e delle periferie.
119 i coworking a Milano. La prima, dal titolo “La geografia degli spazi di coworking a Milano. Un’analisi territoriale” e realizzata da DAStU-Politecnico di Milano, analizza la geografia degli spazi di lavoro dimostrando come il fenomeno dei coworking sia prevalentemente urbano. Il 51% infatti si concentra nelle 14 aree metropolitane, con Milano che detiene il primato, ospitandone 119 nel 2021, con una crescita del 75% rispetto al 2014. Strutture che mostrano una buona copertura del territorio tra centro, semicentro e periferia, sviluppandosi per lo più nelle aree periferiche e sempre raggiungibili in meno di 15 minuti di bicicletta. contribuendo così alla costruzione di un nuovo modello di città più attenta alla prossimità.
Il centro: sempre meno frequentato perché si sta nel proprio quartiere. Molto interessante il fatto che si siano confrontati i dati sul traffico telefonico degli utenti di Tim, prima e dopo il lockdown per verificare come sono cambiamenti gli spostamenti delle persone in quest’ultimo anno. Se il centro era appunto… il centro di tutto, come si è visto dalle mappe presentate durante l’incontro, gli spostamenti sono diminuiti a vantaggio delle periferie e questo, come ha detto Ilaria Mariotti, fa capire come sta emergendo una potenziale domanda di soluzioni per svolgere le proprie attività lavorative, ma anche di svago, vicino casa.
Il coworking come occasione di sviluppo per i quartieri periferici. In dettaglio sono stati analizzati i flussi del quartiere Gallaratese che ha comunque un collegamento con la metropolitana e si è visto come il coworking qui potrebbe intercettare necessità diverse da parte degli abitanti ed essere occasione di sviluppo riducendo le diseguaglianze esistenti con gli altri quartieri. Questo permetterebbe tra l’altro a molte zone di Milano, ma anche di altre metropoli italiane, di avere meno quartieri dormitorio e più vivi. Come ha detto la Mariotti, anche le agenzie immobiliari stanno capendo l’importanza di creare luoghi di lavoro.
Ovviamente per far sì che si possa passare dal lavoro da casa al lavoro vicino casa è necessario favorire l’incontro tra domanda e offerta sostenendo le spese per l’accesso ai coworking, con dei voucher per esempio. Un aiuto che può arrivare sia dai datori di lavoro che dai soggetti pubblici.
Cosa ne pensano i responsabili dei coworking. La seconda indagine, “La trasformazione dei coworking di Milano nell’emergenza pandemica”, realizzata da TRAILab-Università Cattolica del Sacro Cuore è stata presentata da Ivana Pais e ha analizzato le esperienze degli spazi di coworking durante l’emergenza e le opinioni dei coworking manager rispetto alle direzioni di sviluppo futuro. Il tutto intervistando 87 responsabili dei coworking su un totale di 127 presenti in città. Innanzitutto è emerso un dato non positivo: il 57% ha perso clienti durante il 2020 e il 48% ha dovuto diminuire il numero di postazioni.
Aumentano le richieste dal proprio quartiere. Dalla crisi però emergono segnali incoraggianti: il 35% dei gestori dichiara di aver avuto nuovi clienti o richieste proprio dal quartiere. Di questi, il 58% per gli spazi di coworking come attività primaria il 24% come secondaria: con la prima si intende che il coworking costituisce l’attività prevalente nella propria ragione sociale, nel secondo caso si tratta di un’attività secondaria che si affianca a quella “ufficiale”.
“Una nuova esigenza che può rappresentare un incentivo per istituzioni pubbliche, aziende e professionisti per ripensare ai propri uffici e spazi di lavoro con una maggiore attenzione alla prossimità e all’ibridazione”, ha spiegato la Pais.
Sempre più coworking di prossimità. Va da sé che uno dei primo trend che emerge è proprio quello del coworking di prossimità e questo perché “si lavora da remoto, da un luogo dove avvengono altre attività e ciò porta al collasso tra attività professionali e attività di vita” ha precisato la Pais. “Il coworking di prossimità riduce le difficoltà legati alla pandemia, porta a ripensare ai coworking stessi che sono stati finora verticali, vale a dire organizzati per settore o orizzontali ossia aperti a una varietà di lavoratori e specializzati in un servizio ben preciso. Il coworking di prossimità si caratterizza invece per una integrazione con il tessuto di quartiere”.
Interessante vedere come stia cambiando la clientela: il 52% dei gestori ha ricevuto richieste di postazioni o uffici da aziende mentre il 37% da parte di dipendenti privati interessati a svolgere lo smart working in ambienti diversi dalla propria abitazione. Non solo dunque freelance che a causa della pandemia sono in crisi, ma anche dipendenti. Senza poi dimenticare un altro aspetto della ricerca e del coworking stesso: ossia la dimensione di community tipica del coworking e che è stata mantenuta anche in questo periodo. Se è vero, come hanno osservato i responsabili degli spazi, che le interazioni sono diminuite, è anche vero che il coworking ha portato avanti un modello misto di comunicazione e interazione online e offline.
L’importanza della relazione per il lavoro. Come ha aggiunto Massimo Carraro, responsabile della Rete Cowo®: “Il coworking continua a essere un fenomeno di nicchia, ma per noi da sempre conta sempre la relazione. Sappiamo di essere una soluzione all’isolamento lavorativo e per noi la relazione conta molto”. La dimensione di relazione, dunque, avrà un valore enorme anche sempre più nel coworking di prossimità.
Coworking come centro di formazione. La terza indagine condotta da Collaboriamo e presentata da Marta Mainieri, guarda al futuro delineando il profilo che dovrebbero avere i coworking nella città di domani: cioè centri di formazione e apprendimento a disposizione del quartiere e un vero luogo ibrido di scambio di servizi, beni, competenze. Fondamentale, affinché i coworking di prossimità non siano isole all’interno delle città, è l’esigenza di creare una rete capace di rafforzare le relazioni e gli scambi, definire una proposta comune in termini di offerta e di promozione dei servizi proposti.