Il Green Pass obbligatorio per accedere ai ristoranti e bar al chiuso, per i grandi eventi, palestre ecc… entrerà in vigore dal 6 agosto, ma nel mondo del lavoro non si placano le polemiche, specie alla luce della recente proposta di Confindustria.
La principale organizzazione delle imprese italiane ha infatti chiesto di consentire ai datori di lavoro di richiedere il certificato verde anche per accedere ai luoghi di lavoro e svolgere la propria attività. E se sindacati e politici stanno rispondendo con un coro di no, cosa dice la Legge in merito?
Il parere negativo del Garante della Privacy. Avevamo affrontato il punto anche nell’articolo dedicato al Covid e alle domande illegali sul luogo di lavoro. Lo riprendiamo visto che anche Vittorio De Luca, avvocato dello Studio De Luca & Partners, si è espresso in merito ricordando, peraltro, che anche il Garante della Privacy, per il momento, ha espresso parere negativo in merito alla possibilità che il datore di lavoro “accetti” o meno i dipendenti in base allo stato di vaccinazione.
In una delle FAQ sul sito dedicate proprio al tema Coronavirus, il Garante lo dice espressamente: “Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti-Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Perché non basta neanche il consenso dei dipendenti. Si legge, ancora, nelle indicazioni del Garante, che lo ricordiamo è un’autorità amministrativa indipendente che è stata prevista dalla Legge sulla privacy: “Il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio”.
La salute è un diritto dell’individuo e di interesse della collettività, ma il lavoro deve essere effettivo. Chiarisce ancora di più la situazione l’avvocato De Luca che, sebbene definisca la proposta di Confindustria opportuna per aprire il dibattito su un passaporto che in alcuni posti è richiesto, in altri no, ricorda come dal punto di vista prettamente giuridico: “Vi è poi un problema di limitazione delle libertà personali e dei diritti di rango costituzionale come la salute e il lavoro. La prima è tutelata non solo come diritto fondamentale del singolo ma anche come interesse della collettività. Il secondo, il lavoro, deve essere “effettivo” (art. 4, comma 1, della Costituzione) e pertanto non è ipotizzabile che lo svolgimento dell’attività lavorativa sia riservata ai soli lavoratori che siano stati vaccinati”.
Tutto questo, come ricorda l’avvocato De Luca “a meno che non intervenga un provvedimento di legge che allo stato ritengo possa difficilmente essere approvato. Anche la soluzione del cambio della assegnazione temporanea a mansioni differenti ovvero del lavoro in modalità “agile” (cosiddetto smart working) possono essere praticabili solamente in un numero di casi limitati. Si pensi a un operaio che difficilmente potrà lavorare da remoto o anche solo essere adibito a mansioni differenti tali da non richiedere l’accesso ai locali aziendali. Anche a non voler considerare gli aspetti critici sopra indicati, non possiamo trascurare il fatto che tale iniziativa potrebbe comportare indirettamente l’imposizione di un trattamento sanitario, difficilmente compatibile con il dettato dell’art. 32 della Costituzione secondo cui i trattamenti sanitari (come, ad esempio, la vaccinazione) possono essere resi obbligatori solamente per disposizione di legge”.
Detto questo, ricorda il legale che “è auspicabile un risolutivo intervento legislativo che sia in grado di operare un corretto bilanciamento fra i diversi diritti costituzionali coinvolti e orientato al principio della ragionevolezza”.