Dal 28.06.2013 è in vigore il D.L. 28.06.2013, n. 76, che, al fine di accrescere le opportunità occupazionali, specie per i giovani (18 – 29 anni), introduce nuovi incentivi, corregge i profili più controversi della Riforma Fornero (Legge 92/2012) e definisce nuove misure in materia previdenziale e di politiche sociali.
Per le nuove assunzioni a tempo indeterminato di giovani (18 -29 anni) privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi o di un diploma di scuola media superiore o professionale o che vivano soli o con una o più persone a carico, il Decreto (art. 1) prevede, un incentivo per 18 mesi, in forma di conguaglio contributivo pari ad 1/3 della retribuzione mensile lorda ai fini previdenziali (non superiore, comunque ad €. 650,00 mensili), in favore dei datori di lavoro che a tali assunzioni provvedano.
E’ sicuramente da apprezzare che il Governo, da un lato, abbia previsto dette condizioni in via alternativa e non invece cumulativa, dall’altro, che l’incentivo stesso sia legato alla instaurazione di una forma di impiego stabile, in attuazione del principio enunciato nell’art. 1, lett. a) della Riforma Fornero (per il quale il contratto a tempo indeterminato rappresenta la “forma comune di rapporto di lavoro”) e dell’art. 1 del D. Lgs. 368/01, come modificato dall’art.1, co. 9, lett. a), della stessa Riforma Fornero.
Detto incentivo spetta, per 12 mesi, anche in caso di trasformazione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato di giovani in possesso di uno dei suddetti requisiti, se a detta trasformazione si aggiunga l’assunzione di un altro lavoratore.
La norma è di difficile interpretazione, dato che non si precisa se l’ulteriore assunzione debba avere o non la forma del rapporto a tempo indeterminato, come, tuttavia, potrebbe fondatamente ipotizzarsi sulla base delle argomentazioni di cui sopra. Nella stessa logica promozionale, il Decreto – recependo una tecnica già prevista per le assunzioni di lavoratori in mobilità (art. 8, co. 4, L 223/91) – prevede un incentivo, pari al 50% di ogni mensilità altrimenti corrisposta dall’Aspi, a favore dei datori che assumano a tempo pieno ed indeterminato i lavoratori in ASPI.
Novità anche in materia di contratto di apprendistato professionalizzante, al dichiarato scopo di configurarlo come “modalità tipica di entrata dei giovani nel mercato del lavoro” (art. 2): si prevede che la Conferenza Stato – Regioni adotti, entro il 30.09.2013, le linee guida tese a regolare le assunzioni effettuate entro il 31.12.2015 da micro, piccole e medie imprese. In detta sede, si potrà derogare alle norme di cui al D.Lgs. n. 167 del 14.09.2011, prevedendo l’obbligo di forma scritta per il solo piano formativo individuale teso all’acquisizione di competenze tecniche e specialistiche, la registrazione della formazione acquisita su un documento con i contenuti minimi del modello di libretto formativo e, per le imprese multi localizzate, il rispetto della disciplina della regione ove l’impresa ha la sede legale.
Da rimarcare, però, che l’intesa Stato – Regioni rischia di risolversi in un inutile e superfluo aggravio di procedura, dato che, con scarsa coerenza sistematica, il Decreto prevede che, decorso inutilmente il termine del 30.09.2013, le modifiche di cui sopra troveranno diretta applicazione.
Suscita qualche perplessità anche il merito delle modifiche, dato che esse paiono destinate ad avere un impatto più modesto delle attese, sia in quanto i CCNL sovente già prevedono schemi di piano formativo semplificati sia in quanto, per le imprese situate in più territori, la modifica nulla aggiunge ai principi ex art. 7 del D. Lgs. 167/2011.
Quanto alle modifiche relative al contratto a termine (la prima forma contrattuale per il 70% dei neo assunti) cambia l’art. 1, co. 1bis, del D. Lgs. 368/01: ora, si potrà stipulare un contratto a termine a – causale in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali. La modifica merita sicuramente apprezzamento, dato che essa abolisce la previgente alternativa indicata dalla Riforma Fornero, che in modo scarsamente comprensibile indicava una serie di ipotesi tassative apparentemente già riconducibili alle causali di cui all’art. 1, I° comma, D. Lgs. 368/01: è da salutare con favore anche la valorizzazione dei contratti aziendali, sicuramente più vicini alle concrete esigenze delle imprese.
Nella stessa logica, viene abolito il divieto di proroga del contratto a termine a-causale: e tale comporterà un utilizzo più flessibile del contratto a termine a – causale e un allentamento delle eccessive rigidità introdotte dalla Riforma Fornero.
I termini di intervallo tra contratti a termine vengono ridotti nuovamente a 10 o 20 gg., a seconda della durata, inferiore o superiore a 6 mesi del precedente contratto: l’allungamento dei termini operato dalla Riforma Fornero (60 o 90 gg.), pur apprezzabile nelle finalità di fondo (scongiurare un uso strumentale e improprio del contratto a termine, in coerenza con la Direttiva 99/70/CE del 28.06.1999, aveva infatti compresso le istanze di flessibilità delle imprese e penalizzato, attraverso una riduzione dei rinnovi, gli stessi prestatori di lavoro che pure intendeva tutelare.
Si prevede, quindi, un onere di deposito presso la DTL (Direzione Territoriale del Lavoro) dei contratti di prossimità ex art. 8 L. 148/11, come condizione per la loro efficacia, allo condivisibile scopo di garantire data certa a detti contratti.
Viene, quindi, prevista l’estensione sia delle tutele contro le “dimissioni in bianco” anche ai collaboratori coordinati e continuativi sia della solidarietà ex art. 29 D. Lgs. 276/03 per il pagamento dei compensi e degli oneri contributivi si applichi anche ai lavoratori impiegati con contratti di natura autonoma: in tal modo, il Legislatore prosegue nella politica di estensione anche a lavoratori non subordinati di una serie di garanzie sinora previste in via esclusiva per i dipendenti, allo scopo di allargare l’area di tutela di un moderno diritto del lavoro.
Ancora una volta vi è da registrare la distonia del provvedimento normativo, che da un lato tende a favorire l’implementazione di rapporti di lavoro “stabili” con essi intendendosi quelli di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, dall’altro, smussa i limiti posti all’utilizzo di contratti diversi e, come nel caso di contratto a termine, riporta l’intervallo tra un contratto e l’altro ai minimi.
Il problema degli intervalli, a mio avviso, è proprio la prova del cattivo utilizzo di un contratto a termine, contratto che in tal modo, da oggettivo diventa e si focalizza sul soggetto “lavoratore” facendo venir meno la caratteristica essenziale dell’istituto.