“Il talento è un insieme di doti donate da Madre Natura, ma se non viene supportato con testa, perseveranza, abnegazione, rischia di diventare effimero”. Parola del capitano Gianluigi Buffon intervenuto martedì 10 febbraio allo Juventus Stadium per un workshop su “La gestione del talento” organizzato da Randstad, multinazionale specializzata nelle risorse umane.
L’orientamento – Interpellato da Dino Ruta, docente di Risorse umane alla Bocconi, Buffon ha ripercorso la sua carriera dagli esordi: ”La mia passione s’è fatta avanti precocemente in maniera spontanea – come accade con i bimbi – per emulare le gesta di qualche campione; poi con gli amici ho imparato gradualmente a condividere un linguaggio comune. All’inizio giocavo come libero e mi piaceva fare goal, finchè mio padre mi consigliò di giocare in porta e così, verso i 12 anni, ho cominciato a fare il portiere – dice Buffon, evocando il tema cruciale dell’orientamento.
La famiglia e l’ambiente – E sul ruolo della famiglia risponde: ”mi hanno aiutato tantissimo, soprattutto mio padre e mia madre che arrivano dal mondo dell’atletica: io ero un esuberante per natura, il loro modo di bacchettarmi ha fatto sì che non uscissi fuori strada”. Determinante anche il ruolo dell’ambiente, nel suo caso la scelta di andare a giocare con il Parma. Una scelta che ha cambiato le cose: “Io volevo tentare di entrare al Milan ma abbiamo scelto Parma che era più vicina e più a misura d’uomo e la scelta s’è rivelata vincente. Probabilmente al Milan avrei fatto più fatica ad emergere”.
Giovanissimo campione – “A 17 anni – prosegue – ero già qualcuno (esordio nella serie A) ma sono cresciuto e maturato giorno dopo giorno. Per certi versi sono stato un ribelle, almeno fino ai 22-23 anni, avevo una certa strafottenza che mi ha aiutato ad impormi e s’è rivelato un’arma importante. Sono stato ribelle, è vero, però poi sono cambiato. Se oggi che ho 37 anni avessi ancora il carattere di quando ero diciasettenne sarei un emerito cretino, un Peter Pan che suscita tristezza. Oggi è diverso, sono molto più sereno, raziocinante, equilibrato; mi piace fare autocritica, osservarmi e capire cosa fare per trarre il meglio da me stesso e da questa vita. Il bello della vita è capire come crescere”.
Risponde con franchezza e autoironia anche sul periodo buio della sua depressione, dal 2003 al 2004: ”Un buco nero dell’anima, ero insoddisfatto ma per fortuna ne sono uscito. Cosa mi ha aiutato? Le droghe! Ovviamente sto scherzando”.
Rinunce e sacrifici – La passione per il gioco, e la squadra, restano molto forte ancora oggi, conferma il numero uno della nazionale ben consapevole che, ”Per restare al passo servono rinunce e sacrifici, senza queste il talento non dura. Dopo i 30 anni – spiega – ho aumentato l’attenzione alla cura del dettaglio, del particolare e del mio fisico. Faccio molta più attenzione rispetto a quando ero ragazzino e mi prendo più cura di me stesso, sono molto più attento, anche se non integralista”.
Il valore dell’appartenenza – Il futuro sarà ancora con la Juve conferma Buffon. ”Ci sono dei momenti in cui ti chiedi se devi cambiare. Ho avuto occasioni in cui potevo andare via ma sono rimasto: credo che il senso di appartenenza sia un valore da ritrovare. In fondo è questo che emoziona me e i tifosi”.