Quante volte avete fatto un colloquio di lavoro di cui non sapete qual è stato l’esito nonostante vi avessero detto “Le faremo sapere”? E quante volte avete fatto una qualsiasi prova – non retribuita – e avete avuto una risposta solo perché avete insistito, altrimenti non ci sarebbe stata? E se invece siete degli HR, quante volte vi è successo che un candidato che sembrava entusiasta del lavoro è invece sparito?
Se siete stati tentati di rispondere a queste domande con un “Tante volte” o “Sì, a me è successo”, sappiate che non siete i soli. Anzi, questa tendenza è in realtà un fenomeno che ha un nome piuttosto indicativo: ghosting. Mutuato dagli appuntamenti online, quando si chatta per tanto tempo e poi non ci si presenta al primo appuntamento o si inizia una relazione e poi ci si allontana senza un perché, è sempre più diffuso anche nel mondo del lavoro.
Ma attenzione: non sono le aziende a sparire e a non rispondere a seguito delle richieste di chiarimenti, ma spesso lo fanno anche i candidati. È quanto emerge da uno studio condotto da Indeed sul mercato statunitense che però può far riflettere anche noi in Italia.
Se nel 2019 il ghosting nel mondo del recruiting era infatti un fenomeno piuttosto contenuto e riguardava per lo più i candidati, nel 2020 invece è diventato un trend crescente, a doppio senso, e che ha coinvolto anche i datori di lavoro.
Dal sondaggio, cui hanno partecipato 500 persone in cerca di lavoro e 500 recruiter, è emerso che il 28% dei candidati ha fatto ghosting (nel 2019 la percentuale era del 18%). Un atteggiamento che però non è una tantum, ma piuttosto diffuso: a confermarlo il 76% dei datori di lavoro che dichiarano di aver subito situazioni simili. Ma si tratta, come dicevamo, di un modo di comportarsi “reciproco”.
Il 70% degli intervistati ha dichiarato di essere stato piantato in asso, senza tante spiegazioni da un potenziale recruiter. Questo capita spesso perché, dopo il colloquio, il responsabile del processo di selezione si rende conto di non aver incontrato la persona giusta, ma non si cura di condividere con essa com’è andata la sessione. Quando invece un feedback, delle critiche costruttive e soprattutto la dimostrazione di dare un valore al tempo che si è dedicato potrebbero migliorare il rapporto tra azienda e aspirante candidato, anche se non si tramuta di fatto in un lavoro.
1 persona su 10, poi, riporta addirittura casi di recruiter che hanno fatto ghosting anche dopo aver concluso verbalmente un accordo.
La “colpa” non è solo della pandemia. Si può pensare che a causare tutto questo nel 2020 sia stata la pandemia: molte aziende hanno dovuto fare i conti con la crisi, hanno richiesto la cassa integrazione o inizialmente “suggerito” ai loro dipendenti di prendersi tutte le ferie che avevano. Ma questo è in vero solo in parte.
Sempre stando allo studio di Indeed, chi è in cerca di lavoro e scompare dopo un colloquio, lo fa spesso perché riceve un’altra offerta (20%), perché è insoddisfatto della retribuzione che gli/le è stata proposta (13%) o, nella maggioranza dei casi (53%), perché si è reso conto che il lavoro non era in linea con le proprie aspirazioni. Anche se c’è da dire che 1 recruiter su 2 ritiene che la pandemia possa avere influito su questo atteggiamento (48%) e solo il 4% indica le problematiche legate al COVID-19 come causa specifica. Allo stesso modo, si ha la percezione che la pandemia abbia influito anche sul comportamento dei recruiter. Più della metà di chi cerca un impiego (51%) ritiene che oggi i datori di lavoro facciano ghosting molto più di prima. Quando questo modo di comportarsi abbia preso piede non lo sappiamo, ma quello che è certo è che lascia un certo amaro in bocca a chi si trova in situazioni simili che capitano spesso per lavori full time, ma anche in smart working.
Come ci racconta Alessia Baldassarre, copywriter di 35 anni che l’anno scorso prima del Covid-19 aveva iniziato una trattativa per un lavoro, da remoto, con un’agenzia di web marketing.
“Chi mi ha contattato sembrava avere una gran fretta di trovare una persona che scrivesse articoli in lingua inglese. Abbiamo fatto tutto in pochi giorni, ho pure lavorato dando dei suggerimenti, facendo delle domande, cui ho avuto tutte le risposte che mi servivano. Ho chiesto poi di retribuire l’eventuale articolo di prova. Insomma, ho impiegato un po’ del mio tempo. Inizialmente, la persona ha temporeggiato, poi è arrivato il Covid. Alla mia richiesta di saperne di più mi è stato risposto che il blog era fermo, ma che se ne sarebbe riparlato. Quando ho chiesto aggiornamenti, alcuni mesi dopo, non ho ricevuto risposte. In questo caso, la persona con cui mi sono interfacciata non ha neanche usato la motivazione del Covid: è semplicemente “morta” nel senso che ha fatto cadere il tutto nel vuoto. Quello che ti lascia l’amaro in bocca è che non vuoi per forza il lavoro, ma almeno un riscontro: restare appesa è una brutta sensazione considerando che ti viene messa pressione all’inizio per poi risolversi in nulla di fatto”.
Sul ghosting da parte delle aziende, Dario D’Odorico, Responsabile per il mercato Italia di Indeed.com commenta così: “Non è più insolito nel mondo del lavoro. Lo vediamo anche in Italia. È una pessima prassi, con strascichi pesanti in termini di consapevolezza di sé per il candidato e di reputazione per l’azienda. Trasparenza, empatia, autenticità devono essere alla base di ogni processo di selezione, da entrambe le parti.Per evitare un fenomeno così spiacevole, le aziende devono investire nella relazione con i candidati”.
Il ghosting influisce anche sull’employer branding, ossia sulla capacità che un’azienda ha di essere attrattiva agli occhi dei candidati. Anche perché conta molto il passaparola e un recruiter, che rappresenta l’azienda nella quale lavora, con il suo atteggiamento rischia di rovinare quanto fatto.
Basterebbe per esempio inviare un’e-mail a tutti i candidati – solo personalizzando il nome – in cui si comunica l’esito della selezione se non si ha il tempo di fare una telefonata. Questo fa sì che le persone che hanno fatto un colloquio si sentano comunque considerate e abbiano la percezione che in qualche modo quel tempo non è stato sprecato. Non tutte le selezioni vanno a buon fine, anzi la maggiorparte, ma il rapporto umano non dovrebbe mai venir meno specie per tutte quelle imprese che dicono di mettere le persone al centro.