E’ legittimo il licenziamento del lavoratore che ruba lo zainetto ad un collega perché fatti del genere turbano “la serenità dell’ambiente di lavoro” e incidono “sulla fiducia del datore” che viene “incrinata” da una simile “condotta delittuosa”.
Questo, in sintesi, quanto statuito dalla Cassazione, con la sentenza del 28 gennaio 2013 n. 1814.
La vicenda riguardava un dipendente di una grande azienda il quale, approfittando della momentanea assenza di un collega, rubava lo zainetto lasciato momentaneamente fuori dall’armadietto assegnato a ogni dipendente. L’uomo aveva poi rifiutato di aprire la sua macchina dicendo che aveva perso le chiavi e di non sapere come mai lo zainetto fosse finito proprio sul sedile dell’auto. Non gli è servito far presente che dentro non c’era nulla di valore e che, quindi, il furto non poteva essere considerato un fatto grave.
La Suprema Corte ha confermato la decisione dei Giudici di primo e secondo grado e ha provveduto a convalidare la sanzione espulsiva erogata dall’azienda perchè “il furto ai danni di un collega è una condotta idonea ad incrinare la fiducia che nel lavoratore deve essere riposta non solo dal suo datore di lavoro ma anche dai colleghi, con i quali lo stesso è quotidianamente in contatto. Inoltre, la decisione de qua, ribadendo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha sottolineato che è irrilevante, ai fini del venir meno dell’elemento fiduciario, la circostanza della modestia economica del bene sottratto”: ciò anche perchè “nel caso in questione, il lavoratore non poteva sapere quale fosse il reale contenuto dello zainetto”.
Tale sentenza richiama, pertanto, alcuni principi cardine in materia di licenziamento disciplinare ed affronta nuovamente la questione se il modico valore delle cose di cui si è appropriato il lavoratore possa incidere nella gradualità e proporzionalità della sanzione irrogata allo stesso.
Come è noto, infatti, la giurisprudenza dominante ha affermato che per stabilire la sussistenza della giusta causa di licenziamento, nonché il rispetto della regola codicistica della proporzionalità della sanzione, il giudice deve accertare in concreto se la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere in modo grave la fiducia che il datore di lavoro ripropone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere la massima sanzione espulsiva senza che in tal caso possa rilevare l’assenza o la modesta entità di un danno patrimoniale a carico del datore di lavoro (Cass. n. 2692/2011, Cass. n. 5116/2008). Infatti, sotto il profilo del pregiudizio economico subito dal datore di lavoro, la giurisprudenza dominante ha affermato che, attesa l’idoneità del comportamento del dipendente a produrre un pregiudizio potenziale per se stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto, la sussistenza e l’entità del danno economico effettivo per il datore di lavoro ha un rilievo secondario ed accessorio rispetto alla valutazione complessiva delle circostanze delle quali si sostanzia l’azione commessa.
Alla luce di tali principi, i Giudici con la sentenza de qua, hanno ritenuto la condotta del lavoratore idonea a ledere l’elemento fiduciario caratterizzante il rapporto lavorativo, ritenendo pertanto proporzionata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la sanzione espulsiva.
Da sottolineare che ai fini di valutazione di proporzionalità della sanzione, riveste un ruolo importante la disposizione di cui all’art. 30, c. 3 L. 183/2010, c.d. Collegato lavoro, la quale stabilisce che nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione. Nel caso di specie, infatti, i Giudici hanno fondato la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva mediante il richiamo alla espressa previsione di licenziamento per l’ipotesi di furto contenuta nella disposizione di cui al CCNL applicabile al rapporto, evidenziando i riflessi negativi della condotta del lavoratore sulla serenità dell’ambiente di lavoro e sulla fiducia del datore di lavoro, irrimediabilmente incrinata dalla condotta delittuosa ai danni del collega.
Nello stesso senso di cui alla disposizione del Collegato lavoro, e in maniera più incisiva, la recentissima Riforma Fornero ha attribuito valore vincolante alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo contenute nei contratti collettivi e nei codici disciplinari aziendali: infatti, il 4° c. dell’art. 18 Stat. Lav., come modificato dalla L. n. 92/2012, ha previsto che nell’ipotesi in cui il fatto posto a base del recesso rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari aziendali (e nel caso in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento disciplinare per insussistenza del fatto contestato), il giudice annulla il licenziamento ed applica il regime sanzionatorio previsto in ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo.
Da sottolineare infine, sotto il profilo sanzionatorio derivante dalle fattispecie di licenziamenti illegittimi che, in base alla ratio dell’intervento riformatore di cui al citato art. 18, in tutti gli altri casi in cui, pur se viene accertato che non ricorrono gli estremi della giusta causa, come del resto recita il comma 5, il potere del giudice di valutare la proporzionalità tra sanzione e infrazione (art. 2016 cod. civ.) nel caso concreto dovrebbe portare solo ad una sanzione economica, ma non alla reintegrazione (ad. es. licenziamenti intimati per comportamenti realmente tenuti dal lavoratore ma di gravità irrisoria).