L’alta specializzazione agevola l’accesso in azienda e a contratti stabili, soprattutto per le donne. Secondo l’indagine realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in occasione della XII edizione del Festival del Lavoro e dedicata a “La domanda di professioni in Italia”, nel gruppo delle dieci figure altamente qualificate che, a livello nazionale, hanno fatto registrare i numeri maggiori di unità di lavoro attivate (ULAT), ci sono i laureati e le donne, con una quota che raggiunge rispettivamente il 46% e il 45%, di molto superiore a quella rilevata sulla stima generica delle prime 10 professioni per ingressi in azienda (pari al 12% e al 40%). In più, l’investimento in competenze apre le porte a un contratto stabile nel 47% dei casi mentre chi si colloca nella fascia di bassa specializzazione ottiene un contratto a tempo indeterminato solo 34 volte su 100. I numeri, elaborati su dati del Ministero del Lavoro aggiornati al 2° trimestre 2020, confermano quindi la correlazione tra l’alta qualificazione e i contratti più stabili, con le tutele correlate che nell’ultimo anno sono state attivate in maggiore scioltezza per affrontare le conseguenze della crisi sanitaria. Non solo. Come evidenziato da ultimo nel rapporto della stessa Fondazione Studi “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”, il lavoro più qualificato nell’ultimo anno ha registrato una netta tenuta, in termini occupazionali e retributivi, e si presenta all’appuntamento con la “ripartenza” più rafforzato in termini professionali grazie anche al forte coinvolgimento nella sfida dell’innovazione determinata dall’emergenza sanitaria.
Entrando nel dettaglio delle professioni maggiormente richieste nel contesto dell’alta specializzazione, al primo posto ci sono analisti e progettisti software (27,7 mila ULAT annue): prevalentemente giovani e laureati (nel 69% e 57% dei casi) conquistano un contratto di lavoro a tempo indeterminato più di 8 volte su 10. A seguire i tecnici della vendita e della distribuzione (17 mila) e le professioni sanitarie infermieristiche (15,5 mila). In quest’ultimo segmento prevale la componente femminile, che è ben sopra alla media anche nella categoria dei docenti della scuola privata o parificata, dove la quota di laureate è massima. Nella top ten seguono poi gli specialisti dei rapporti con il mercato, i professori delle superiori, i tecnici del marketing, le professioni sanitarie riabilitative, i disegnatori industriali e – al nono e decimo posto – gli specialisti nell’organizzazione del lavoro e gestione/sviluppo del personale e i tecnici programmatori. Profili appetibili soprattutto in Lombardia, che li sceglie una volta su quattro e si colloca oltre la media nazionale (18,2%) insieme a Friuli-Venezia Giulia (21,9%), Lazio (21,4%) e Piemonte (21%).
«Non c’è dubbio che il grande malato di questo momento sia il lavoro nella sua accezione più ampia – afferma il Presidente della Fondazione Studi, Rosario De Luca, commentando i dati a margine del Festival del Lavoro – ma la sfida che ci attende per far sì che l’Italia possa riallinearsi ai dati occupazionali medi europei e impedire l’esodo dei giovani verso gli altri Paesi, deve comprendere l’investimento in competenze di qualità e in percorsi formativi che intercettino le esigenze evidenziate dalle imprese nell’ultimo anno. In un’ottica inclusiva, senza distinzione tra lavoro autonomo e dipendente».