“Io non avevo assolutamente intenzione di studiare, anzi quando ero un ragazzino ero un pessimo studente. Ma dopo un’esperienza lavorativa breve, mi sono accorto che probabilmente lavorare per tutta la vita come elettricista non faceva per me”. Jody Saglia ha 31 anni ed è di Ivrea. Sorride mentre ci mostra il progetto sui cui lavora da anni. È uno dei ricercatori dell’IIt, l’Istituto Italiano di Tecnologia, una Fondazione di diritto privato istituita congiuntamente dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha l’obiettivo di promuovere l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale. Di questo centro di ricerca, dove si allenano i ‘cervelli’ del nostro Paese ma non solo, ve ne abbiamo parlato (vai agli articoli 1 e 2).
Oggi, però, vogliamo raccontarvi del dispositivo che ha inventato Jody, del suo percorso e del positivo riscontro che ha avuto il suo progetto a Roma.
Breve Bio – Jody Saglia si è laureato al Politecnico di Torino in Meccatronica e, dopo parentesi di studio in Finlandia, ha fatto la tesi a Londra. Sempre a Londra ha fatto il dottorato al King’s College in collaborazione con l’IIt. Ora lavora al centro di ricerca di Genova come ‘post doc’ e si occupa di robotica per la riabilitazione. Qui sta per finire il master in Transfer of Technology.
“Dopo un anno di Erasmus – ci racconta – mi sono spostato a Londra come visiting student. Un’esperienza che mi ha permesso di poter scrivere la mia tesi di laurea magistrale”. Proprio in Inghilterra, infatti, ha iniziato a lavorare su un progetto che anche oggi, a distanza di anni, non ha più abbandonato. Si tratta dello sviluppo di un dispositivo robotico per la fisioterapia.
Il progetto – Si chiama Arbot (Ankle rehabilitation robot), ed è una macchina che riunisce in un unico strumento le capacità manipolatorie del fisioterapista e l’abilità di un sistema hi-tech programmabile per la riabilitazione post traumatica della caviglia. Il progetto, sviluppato in collaborazione con i medici del centro Inail nell’ambito del progetto start-up Rehab Tech sullo sviluppo di robot per la riabilitazione motoria – è già stato premiato nel 2012 per la categoria “Life Sciences” alla Start Cup Ricerca – Il Sole 24 Ore, un’iniziativa promossa dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) in collaborazione con il quotidiano economico.
E’ un robot per la riabilitazione della caviglia che è già stato sperimentato clinicamente e che Jody spera un domani sia prodotto e venduto. “Quando mi sono avvicinato al progetto – spiega, sedendosi sulla sua ‘macchina’ in laboratorio – mi sono occupato della parte più scientifico-ingegneristica e sulla parte di analisi. Poi durante il dottorato mi sono occupato dell’aspetto tecnologico del progetto, quindi del suo sviluppo. Fino ad arrivare ad oggi a Genova, dove sto curando la parte di sperimentazione clinica del dispositivo”.
Si tratta di una pedana mobile, movimentata da tecnologica robotica, sulla quale il paziente che ha subito una frattura o ha avuto problemi ai legamenti della caviglia posiziona il piede. Grazie a questa macchina può portare a termine tutti gli esercizi che vengono svolti tradizionalmente nella fisioterapia per la caviglia, interagendo con un software robotico. “Questo – racconta il giovane ricercatore – da la possibilità di eseguire esercizi tradizionali come la manipolazione dell’articolazione, come farebbe un fisioterapista in carne ed ossa, simulando il contatto tra specialista e paziente. Inoltre, garantisce una performance ripetibile ovunque, che non è vincolata dalla bravura e capacità dell’operatore. In commercio sono già disponibili strumenti per la riabilitazione della caviglia, ma Arbot è unico nel suo genere – precisa – perché permette di fare attività di manipolazioni in autonomia, replicando i gesti dello specialista e valutando nel frattempo se il trattamento è eseguito correttamente”.
Lo strumento, ideale per la riabilitazione degli sportivi, può inoltre misurare in modo continuo e oggettivo il recupero motorio e adattare l’esercizio terapeutico alle reali condizioni di disabilità. “Il paziente – spiega il ricercatore dell’IIt – potrà ad esempio fare riabilitazione a casa seguito in videoconferenza da un operatore, ricevendo un trattamento efficiente, mirato, intensivo e di facile accesso. Il terapista, nel frattempo, potrà trattare un numero maggiore di pazienti e definire nuovi percorsi riabilitativi”.
Obiettivi futuri – Jody non voleva fare il ricercatore, era più interessato a lavorare in azienda. Grazie al professore d’inglese che lo ha seguito nel dottorato è venuto a conoscenza di IIt che nella sua mission ha come obiettivo sia la ricerca sia il trasferimento di invenzioni e brevetti nel sistema produttivo.
“Nel futuro – ammetta Jody – mi immagino nell’azienda che cercherò di creare, un’azienda che sarà in grado di commercializzare e sviluppare queste tipo di tecnologie per la fisioterapia e il miglioramento della qualità della vita, soprattutto rivolte all’ambito dell’aging society, cioè le persone più anziane. Io ho sempre voluto fare tecnologia, non però solo per creare conoscenza, ma tecnologia applicata al mondo reale”.
Vincitore di un premio – Jody la scorsa settimana è stato a Roma alla Presidenza del Consiglio per presentare la sua idea innovativa per il Paese. Il suo progetto è stato infatti premiato nel 2012, nell’ambito del concorso “La tua idea per il Paese” che l’associazione ItaliaCamp, in collaborazione con la presidenza del Consiglio e 60 università italiane, ha riservato alle intelligenze più fertili delle 13 regioni del Centro Nord. Un barcamp lanciato con l’obiettivo di elaborare un’idea-programma per il Paese che ha visto 120 finalisti su sei diverse aree tematiche: lavoro e impresa; ricerca, scienza e tecnologia; economia e finanza; cultura e sociale; ambiente e infrastrutture; politica, istituzioni e Pa. Il suo dispositivo è risultato quello più innovativo nell’ambito del welfare.