“I dati scientifici sono chiari: i cambiamenti climatici avanzano”, ha dichiarato il presidente del Comitato europeo delle Regioni, Karl-Heinz Lambertz, nel giorno di inaugurazione, a New York, del Clima action summit. Ma l’Europa, oltre che a lanciare dichiarazioni e snocciolare numeri, agisce. Recuperare e riutilizzare in nuovi prodotti almeno 10 milioni di tonnellate di plastica entro il 2025. E’ uno degli obiettivi sottoscritti nella Dichiarazione della “Alleanza circolare sulla plastica”, firmata a Bruxelles pochi giorni fa da un centinaio di partner pubblici e privati che rappresentano l’intero settore. Tra gli altri impegni assunti dall’industria, l’elaborazione entro il 1 marzo 2020 di linee guida e standard per la progettazione eco-compatibile in modo da migliorare le riciclabilità dei prodotti, l’identificazione entro il 1 gennaio 2021 dei fabbisogni di investimento per raggiungere l’obiettivo 10 milioni e la creazione, entro la stessa data, di un meccanismo di monitoraggio trasparente e tracciabile dei risultati.
“Gli scettici che mettono in dubbio il legame tra il comportamento umano e i cambiamenti climatici non solo ignorano la scienza, ma rischiano di mancare le opportunità economiche e di allargare ulteriormente il divario tra i cittadini e la politica. I governi a tutti i livelli hanno il dovere di agire, o le generazioni future saranno costrette a fare i conti con i costi dell’inazione”, è l’appello Karl-Heinz Lambertz.
Infatti il riscaldamento globale ci costa ogni anno 12 miliardi di euro. Il passaggio a un’economia senza emissioni di carbonio creerà nuovi e preziosi posti di lavoro, renderà l’Ue più competitiva e ridurrà la dipendenza energetica. Le amministrazioni locali sono fondamentali, in quanto sono responsabili di oltre il 70% delle misure di mitigazione e di quasi il 90% delle azioni di adattamento.
Un tema a noi molto caro, quello dell’inquinamento ambientale. Infatti l’Italia è il Paese Ue più a rischio su smog e picchi di temperature. E’ l’istantanea dell’Agenzia europea dell’ambiente, che quest’anno ha pubblicato il primo rapporto in cui incrocia indicatori ambientali, sanitari, sociali, economici e demografici. Secondo lo studio, Roma è una delle capitali europee con la situazione migliore per quanto riguarda l’inquinamento acustico (dato 2011). Ma le buone notizie finiscono qui. In Italia si trova infatti il maggior numero di aree in Europa ad alto rischio per tre tipi di inquinamento atmosferico (da particolato, ossidi di azoto e ozono), nonché per le ondate di calore. Un quadro in cui anche indicatori economici positivi, come quelli del Nord del Paese, o sviluppi demografici in genere salutati con soddisfazione, come un’aspettativa di vita tra le più lunghe del continente, possono diventare problematici. Perché problemi di smog tipici di aree meno sviluppate (particolato e ozono) si sovrappongono a quelli (ossidi di azoto) delle regioni più ricche e densamente popolate d’Europa, come la Pianura Padana.
Gli sforzi internazionali per far fronte ai cambiamenti climatici hanno subito un duro colpo quando il presidente Donald Trump ha chiamato fuori gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, il cui obiettivo è limitare l’aumento della temperatura. Ora l’Unione europea, che ha confermato il suo impegno verso il patto, si trova a dover assumere un ruolo di leadership globale per attuare il cambiamento. L’accordo di Parigi del 2015 sottoscritto da 195 Paesi, precisamente, indicò l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale con un aumento medio della temperatura entro i 2 gradi – meglio 1,5 – rispetto all’era preindustriale.
Oggi l’allarme degli scienziati è costante e univoco. Dal gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), all’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo), al Programma ambientale dell’Onu (Unep) tutti avvertono che i prossimi 12 anni saranno cruciali e non abbiamo quindi molto tempo. Anche l’Istituto superiore di sanità è sceso in campo: “Due generazioni, ovvero 20 anni, per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici e dagli effetti devastanti che questi avranno sulla salute dell’uomo e dei territori” ha detto il presidente dell’Iss, Walter Ricciardi, rilevando che “già oggi le morti in Europa legate ai cambiamenti climatici sono migliaia l’anno, ma saranno milioni nel prossimo futuro se non si agisce subito”. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità saranno 250mila all’anno tra il 2030 e il 2050.
Si può dire, quindi, senza paura di esagerare che oggi quella del clima è una questione di vita o morte per diverse parti del mondo, ma siamo totalmente fuori rotta e in ritardo nel progetto di scongiurare catastrofi naturali e drammi umanitari.