Milano. La gestione del lavoro nella fase post-coronavirussarà decisiva per la tutela della salute dei dipendenti e per gli impatti sull’intero Paese. Allo stesso tempo queste settimane di chiusura forzata ci hanno permesso di misurarci in modo più diretto con le esigenze d’innovazione anche nell’organizzazione del lavoro. Per queste ragioni di fondo, l’Aidp – l’Associazione nazionale dei direttori del personale – ha fatto proprie le esperienze sul campo di migliaia di direttori del personale ricavandone una elaborazione propositiva per la gestione del lavoro nella fase due.
“Fin dai primi giorni dell’emergenza coronavirus i direttori del personale hanno dovuto fronteggiare un impatto sull’organizzazione del lavoro senza precedenti – spiega Isabella Covili Faggioli, Presidente Aidp -. In pochi giorni abbiamo rivoluzionato il mondo del lavoro e le modalità lavorative favorendo il diffondersi su larga scala del lavoro da remoto che è stato definito nella maggioranza dei casi, impropriamente, smart working. Queste settimane intense e straordinarie hanno maturato un bagaglio di esperienze di grande valore che a questo punto intendiamo mettere a disposizione del Paese”.
Ecco le cinque linee guida per il post-coronavirus.
Smart working dopo l’emergenza. Sviluppare un modello di smart working reale ispirato ai principi del benessere della persona, della crescita, della competitività dell’azienda e sostenendo l’impatto positivo che ne deriva a tutti i livelli in un’organizzazione basata sui risultati. Quello vissuto in periodo di emergenza in realtà è stato “home working”, utilissimo per non affollare gli uffici ma tipico di una obsoleta organizzazione del lavoro. Pensiamo che lo smart working sia un pilastro fondamentale della fase due e del futuro del lavoro in generale. Occorre prevedere forti incentivi dello Stato sul piano economico e normativo che premi le aziende in questo senso virtuose così come per quelle che incentivano forme di solidarietà anche fra i lavoratori. Il lavoro agile correttamente inteso, poi, permette una sintesi virtuosa dei tempi di conciliazione vita-lavoro.
Organizzazione del lavoro secondo i parametri di sicurezza per la salute. Rimodulare i turni di lavoro su fasce orarie diverse dalle canoniche 8 ore negli ambienti prettamente produttivi diluendo le attività anche su 6 giorni a settimana e riducendo i livelli di presenza contemporanea nelle aziende. Articolazione del lavoro con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze contemporanee nei luoghi di lavoro, favorire la flessibilità degli orari di uscita e di entrata. Ingresso in azienda attraverso delle App che ti informano su quante persone sono in ufficio; indicazione di orari di ingresso distanziati di 5 minuti ciascuno per evitare affollamenti E’ necessario rivedere la normativa sul numero massimo di ore lavorabili per giornata/settimana a favore di una gestione più flessibile e con un orizzonte più ampio.
Semplificazione delle procedure. Incentivare l’utilizzo delle tecnologie per snellire le procedure e la burocrazia del lavoro.E’ assolutamente necessario ripensare la normativa sulla privacy e la GDPR nelle aziende. Tema complicato ma prioritario. I datori di lavoro devono mettere al primo posto la salute dei propri dipendenti, collaboratori e clienti trovando un equilibrio per accedere ai dati personali per fini superiori assicurando la riservatezza e l’etica nella gestione delle informazioni. Semplificazione delle procedure per accedere agli ammortizzatori sociali, soprattutto in periodi di emergenza.
Relazioni industriali. Dobbiamo disinnescare sul nascere la spirale conflittuale che rischia di esplodere sullo sfondo dell’emergenza generata dal Covid 19. La strada maestra per riuscire a conciliare queste due esigenze è la partecipazione dei lavoratori alla gestione e all’utile dell’impresa (elemento cardine del sistema tedesco) e giungere quindi finalmente all’attuazione dell’art. 46 della nostra Costituzione che ciò prevede: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Questo dialogo richiede attori aperti al cambiamento e che siano pronti a ridefinire le regole del gioco in maniera negoziale, ma integrativa.
Flessibiltà e contratti a termine. Senza flessibilità non saremo in grado di sostenere l’impatto legato al coronovirus e la competitività con altri paesi. Flessibilità vuol dire anche nuovi modelli contrattuali in grado di considerare la prossimità contrattuale territoriale e una contrattazione adeguata a sostenere a medio termine i livelli occupazionali. In Italia, negli ultimi anni, si sono aboliti i voucher, forme di pagamento tracciabile per tanti lavoretti temporanei, si è intervenuti per rendere difficile il ricorso a contratti a termine, così che oggi ci sono meno strumenti per lavori di qualità nella crisi e per il post-crisi. Si è appesantito e burocratizzato il ricorso alla somministrazione come i contratti di apprendistato e a tempo determinato, mettendo in crisi una forma di lavoro che assicura più tutele di altre. In questo tempo di paralisi l’obbligo delle causali per i rinnovi dopo i 12 mesi, e l’aggravio di costi relativo, rischiano di scoraggiare nelle aziende la tenuta dei lavoratori a tempo con ripercussioni negative anche per i lavoratori. Dobbiamo dare fiducia a chi deve far decollare il Paese ed essere inflessibili con chi abusa della flessibilità concessa. Togliere la a-causalità ai contratti a tutti i contratti a termine e tornare alla gestione precedente il decreto dignità.