E’ di ieri la notizia del primo italiano contagiato dal virus Ebola. Si tratta di un medico di Emergency contagiato in Sierra Leone. A breve tornerà in Italia e verrà ricoverato all’Istituto Spallanzani di Roma. La macchina organizzativa dello Stato italiano si è messa in moto per organizzare il trasferimento in massima sicurezza. Il medico contagiato lavora a stretto contato con il virus nel Centro per malati di Ebola a Lakka. Il contagio del nostro connazionale pone al centro la questione della sicurezza del personale medico e paramedico e di chiunque si sta occupando per lavoro di bloccare e circoscrivere l’epidemia e di assistere i malati. Come si sa Emergency è in prima linea. In che modo è possibile lavorare a contatto con il virus Ebola e non esserne contagiati?
Abbiamo intervistato Paolo Maria Rossin, General Manager di Indutex Spa, un’azienda di Corbetta (MI) specializzata nella produzione di indumenti usa e getta per protezione biologica con clienti in tutto il mondo, tra cui la stessa Emergency. Si tratta di un’eccellenza del Made in Italy e leader mondiale nel suo segmento. Rossin è anche componente del Comitato di Normazione Europeo (CEN) per conto di UNI (Ente Italiano di Normazione) nell’ambito degli indumenti di protezione da rischio chimico, biologico e nucleare.
Partiamo dalla questione della sicurezza di coloro che per lavoro sono a contatto con il virus. In che modo si proteggono? Quali sono le procedure che si attivano in questi casi per evitare il contagio?
Data la peculiarità di trasmissione del virus Ebola (semplice contatto con qualsiasi fluido proveniente dal contagiato) l’unico modo di proteggersi è quello di utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) che facciano da barriera fisica tra l’operatore ed il paziente. Per questo motivo si indossano tute intere completate con maschere, occhiali e guanti, anche più di un paio per volta.
Voi siete tra i principali produttori al mondo di indumenti e accessori per la sicurezza biologica, ovvero fornite quelle speciali tute che vediamo spesso in televisione e che vengono indossate nelle situazioni di rischio: dai Carabinieri del Ris, ai laboratori di ricerca fino a situazioni estreme come il virus Ebola. In cosa consistono queste tute?
Le tute in questione sono degli indumenti appositamente progettati e certificati per offrire barriera agli agenti patogeni secondo una norma europea, la EN 14126 già in vigore dal 2003 e che prevede tutta una serie di test effettuati sull’indumento per determinare il livello di protezione offerto, che ovviamente, dovrà essere il più elevato possibile.
La richiesta di questi indumenti è aumentata? In altre parole, dal vostro osservatorio particolare potete confermare che è aumentato il rischio contagio, a partire da coloro che per lavoro sono a stretto contatto con situazioni di rischio, dovuto anche alle ondate migratorie di questi ultimi anni?
Per quanto riguarda la mia azienda in particolare, lavorando a stretto contatto con chi fisicamente è in Africa per contrastare Ebola, la situazione attuale è di overbooking ovvero la domanda supera al momento la potenzialità di produzione e in questo senso stiamo investendo in risorse produttive per poter far fronte alla richiesta di chi è sul campo ed ha necessità di proteggersi. Il rischio Ebola non è da catalogare tra i rischi derivanti dai flussi migratori, tutt’altro. Come disse già tempo fa Gino Strada, Ebola è un virus che se arriva lo farà in business class ed io concordo con questa visione.
In Italia siamo preparati ad affrontare quest’aumento del rischio contagio oppure ci muoviamo ancora nella logica dell’emergenza? Abbiamo situazioni di eccellenza, come il Sacco a Milano e lo Spallanzani a Roma, e poi?
Al momento attuale in Italia Sacco e Spallanzani sono i centri di riferimento nazionali per Ebola così come per altri rischi epidemici e sono logicamente sempre tenuti ad essere pronti ad ogni evenienza. Diversa è la situazione nelle altre città che, in precedenza, avevano affrontato questo rischio solo a livello teorico e che ora invece è attualità. La reazione c’è stata, ed, in questo, il nostro Ministero della Salute ha agito con coscienza e rapidità. Col senno di poi, probabilmente, se si fosse prestata maggiore attenzione nei mesi precedenti l’estate, ci sarebbe stata la possibilità di prepararsi in modo più organico e non ricorrere a, pur sempre efficaci, procedure di urgenza.
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