Prima e dopo il Covid 19: com’è cambiato il rapporto di lavoro di una o un baby sitter? L’ampio ricorso allo smart working e la chiusura prolungata delle scuole, oltre ai timori dei contagi, ha avuto un indubbio impatto sull’attività di baby sitting per il 64% del settore.
La survey Le Cicogne. Nello specifico, per l11% degli intervistati c’è stata una riduzione del 100% delle ore lavorate e di utilizzo di un o una baby sitter rispetto alla fase pre-pandemia e complessivamente l’orario di lavoro è diminuito per il 36%. Per un altro 35%, invece, c’è stata una rimodulazione in senso più flessibile degli orari di utilizzo del servizio di baby sitter in base alle necessità lavorative distribuite tra mattina, pomeriggio e sera. Solo il 36% ha dichiarato che non ci sono stati cambiamenti rispetto al periodo pre-pandemia.
La richiesta di baby sitter dopo la pandemia. Il 44% delle famiglie (con figli sotto i 18 anni) ha dichiarato che a seguito del diffondersi della pandemia non ha proseguito con un servizio di baby sitter sostanzialmente per due ragioni: non lavorando o lavorando da casa non hanno più avuto la necessità di un o una baby sitter; per motivi di sicurezza e tutela della salute dei propri familiari. Ciò nonostante comunque per circa un/terzo del 44% l’esigenza di un servizio di baby-sitter o di un aiuto in tal senso è comunque rimasto. Tant’è che la stragrande maggioranza per sopperire a tale necessità si è rivolta ad amici o parenti.
La ricerca dei baby sitter. Durante la pandemia, ossia da febbraio 2020 a febbraio 2021, la ricerca di un o una baby sitter è avvenuta nel 59% dei casi chiedendo ad amici e parenti, il 14% con il passaparola, il 22% rivolgendosi a portali online di ricerca baby sitter. “E’ indubbio che la pandemia ha avuto un impatto dirompente nell’ambito del lavoro da baby-sitter. La combinazione di due fattori decisivi come l’ampio ricorso allo smart working e la chiusura delle scuole hanno determinato profondi cambiamenti – spiega Monica Archibugi, Founder Le Cicogne -. Da sottolineare, poi, un altro aspetto decisivo, ossia i timori dei contagi e quindi la diffidenza delle famiglie di accogliere in casa personale sconosciuto. Tutto questo ha portato, per certi versi, alla riduzione della domanda di servizi di baby sitter, soprattutto a seguito dello smart working o dei periodi di non lavoro e per la contestuale disponibilità di parenti ed amici (per varie ragioni) a coprire le esigenze familiari in questo senso. Dall’altro, tuttavia, la periodica chiusura delle scuole ha sostenuto parzialemente la domanda di servizi di baby sitting prevalentemente per particolari fasce della popolazione, soprattutto quelle appartenenti alle categorie più agiate”.
Nota stampa Le Cicogne.