Intervista a Rossella Fasola, nella foto, Responsabile relazioni istituzionali di Randstad Italia, la seconda Agenzie per il lavoro la mondo sul Jobs Act e sul ruolo che potranno svolgere le Agenzie per il lavoro.
La riforma del mercato del lavoro tiene banco da diversi mesi. Molte le novità in discussione e il tema centrale è il modello di flessibilità del lavoro da realizzare e come introdurre un efficace modello di flexisecurity anche in Italia. Uno degli obiettivi è la crescita della flessibilità positiva e tutelata a scapito della precarietà e dell’uso improprio di forme contrattuali tipiche del lavoro autonomo. In questo scenario qual è il ruolo che potrà giocare la somministrazione?
E’ arrivato il momento di cambiare passo. La flessibilità del mercato del lavoro è il tema centrale. Ma, c’è da fare una netta distinzione tra la flessibilità buona, garantita e di qualità che passa dalle Agenzie per il Lavoro, dalla precarietà, ovvero dall’utilizzo improprio di forme contrattuali atipiche e spurie. Dobbiamo cambiare passo. Ben venga, allora, l’intenzione di dare una netta sforbiciata ai tanti contratti esistenti, spesso fonte di abusi, in modo da ricondurre la gestione della flessibilità a pochi e garantiti istituti contrattuali, tra cui la somministrazione. Il tentativo riformatore del Jobs Act va positivamente in questa direzione. Questa è la strada per costruire un mercato del lavoro moderno e europeo in cui gli abusi devono essere colpiti, anche con un potenziamento delle attività ispettive, e la flessibilità deve essere necessariamente gestita con serietà in modo da coniugare in modo armonico le esigenze di duttilità produttiva delle imprese con quelle di tutela e garanzia dei dipendenti.
La somministrazione del lavoro ha una sue specificità concettuale molto chiara. Non si tratta di un contratto di lavoro a tempo in senso stretto assimilabile al contratto a termine, errore nel quale cade spesso anche lo stesso legislatore, ma di un modello di organizzazione di lavoro innovativo e basato sulla cosiddetta doppia datorialità. E’ chiara questa funzione della somministrazione oppure prevale un grosso equivoco anche tra chi ricorre alla somministrazione? Volgiamo dire una volta per tutte che la somministrazione è diversa dal contratto a termine e spiegare perché?
Devo riscontare che in diversi casi il nostro legislatore ha evidenziato alcuni limiti culturali rispetto alla reali differenze tra la somministrazione e il contratto a tempo determinato. Questo lo ha dimostrato tutte le volte che è intervenuto con provvedimenti di regolamentazione che di fatto accomunano le due formule contrattuali. Serve che si faccia chiarezza il più possibile per evitare di incorrere in errori di valutazione, anche da parte del legislatore. Ricordo che la somministrazione è una modello di organizzazione del lavoro flessibile che prevede il coinvolgimento di 3 soggetti, l’azienda utilizzatrice, il lavoratore e l’Agenzie per il lavoro che assume direttamente il lavoratore. Come diceva in questo modello si prefigura una sorta di doppia datorialità e la funzione dell’Agenzia non si limita alla fornitura di manodopera. Anzi. Offre un servizio si sostegno al lavoratore in tutte le sue fasi del rapporto di lavoro, compresa la ricollocazione a fine missione, e allo stesso tempo garantisce una molteplicità di servizi all’azienda utilizzatrice. Come si può vedere, la funzione della somministrazione è molto diversa dal contratto a termine. E’ arrivato il momento di elaborare un Testo Unico sulla somministrazione che definisca in maniera netta la differenza tra la flessibilità offerta dalle Agenzie per il Lavoro dai restanti, speriamo pochi, contratti flessibili.
Altro capitolo caldo sono le politiche attive del lavoro. E’ noto che i Centri per l’impiego pubblici da questo punto di vista hanno fallito. Anche i risultati del Piano Garanzia Giovani al quale partecipano le Agenzie per il lavoro, hanno evidenziato un chiaro limite del collocamento pubblico, in cui la quasi totalità delle offerte di lavoro presenti vengono dal collocamento privato. Il professor Ichino ha proposto il contratto di ricollocazione, inserito in via sperimentale nella scorsa Legge di Stabilità, che prevede un sistema nuovo di collocazione pubblica, in cui sono coinvolti anche i soggetti privati e basato sul concetto di premialità: la struttura che riesce a collocare un disoccupato preso in carico ottiene il contributo economico solo a fronte della collocazione dello stesso. La convince questo modello?
E’ indubbio che il futuro del welfare è nelle politiche attive. In questo senso ci sono già delle esperienze regionali ben avviate e di successo in cui si sta praticando una sana collaborazione e/o concorrenza tra pubblico e privato. Penso alla dote lavoro in Lombardia, un vero modello di riferimento, per quanto certamente perfettibile . Nella sola Lombardia, in 7 casi su 10 di utilizzo della dote sono coinvolte le Agenzie per il lavoro. Queste esperienze dimostrano che la strada vincente e più efficace da percorrere è quella della collaborazione tra servizi pubblici e privati per l’impiego, in cui la regia rimane nelle mani dello Stato, anche in una logica anche di sana competizione . Aggiungo, che il passaggio successivo da compiere è la riforma del Titolo V della nostra Costituzione, che assegna alle Regioni la titolarità delle politiche attive e della formazione. Questo sistema parcellizza le politiche attive in tante e differenti regole per ciascuna regione d’Italia complicando, e di molto, l’attività per tutti quei soggetti del mercato del lavoro che operano nelle politiche attive. C’è bisogno di una necessaria uniformità delle regole in modo da far funzionare meglio l’intero sistema di collocamento, pur nelle peculiarità che ha ciascun territorio.
Nel mercato del lavoro flessibile ciò che conta di più è l’occupabilità, altrimenti nota come employability, ossia mettere le persone nelle condizioni migliori per cercare e trovare un nuovo lavoro. E’ questo uno dei capitoli decisivo per la sostenibilità della flessibilità, insieme ad nuovo e adeguato sistema di welfare. Dal punto di vista dei contratti di lavoro, in questo senso, non è anacronistico il limite di età nei contratti di apprendista, compreso ovviamente nell’apprendistato in somministrazione? La necessità di apprendere un nuovo mestiere o professione sul campo non è più circoscritta alla fase iniziale del percorso lavorativo delle persone ma è costante durante tutta la vita lavorativa. Condivide questa esigenza? E’ arrivato il tempo di un contratto di apprendistato valido per tutti e senza limiti anagrafici?
Il mantenimento di un vincolo soggettivo legato all’età della persona da assumere in apprendistato è necessario al fine di evitare abusi rispetto all’utilizzo di una tipologia contrattuale che prevede un sensibile abbattimento del costo del lavoro. Sarebbe tuttavia molto interessante ampliare la portata di quanto già previsto all’interno del Testo Unico sull’Apprendistato, ovvero la possibilità di derogare al limite di età in caso di assunzione in apprendistato di lavoratori in mobilità (art. 7 comma 4 D.Lgs 167/2011) ma solo con il fine di qualificare o riqualificare il lavoratore: ipotizzare un allargamento della casistica ad altre tipologie di lavoratori e con finalità specifiche potrebbe in effetti consentire anche a persone oltre i 30 anni di apprendere un nuovo mestiere con costi più ragionevoli per le aziende che effettuino l’investimento.
In Italia la flessibilità del lavoro tutelata e garantita è figlia di un dio minore? E’ ancora forte e radicata una cultura di “retroguardia” contraria ad un suo pieno sviluppo che preferisce barricarsi sulla difesa ad oltranza del mito del posto fisso, superato ormai dagli eventi, oppure il vento è cambiato?
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato deve continuare ad essere la tipologia contrattuale “normale” : le persone hanno bisogno di certezze e di continuità nella propria vita anche lavorativa. Tuttavia è altrettanto innegabile come sia necessario ed impellente un intervento del legislatore volto a ridurre le tipologie contrattuali flessibili, con una duplice finalità: da un lato eliminando i contratti flessibili che non solo sono di scarsa qualità ma oltretutto non offrono tutela alcuna al lavoratore, dall’altra rafforzando il ruolo della flessibilità controllata dal Ministero e che offre un sistema autonomo di welfare a supporto dei lavoratori, ovvero il ruolo delle Agenzie per il Lavoro.