Con quello che si spera sia un periodo di ripresa economica, sempre più aziende sono in cerca di candidati e si fanno più colloqui, online, ma anche dal vivo. Ma dopo questo periodo di pandemia e visto il delicato momento che stiamo vivendo ci sono delle domande che non andrebbero fatte e che possiamo definire “illegali”?
Si può chiedere, per esempio, a una persona cosa ne pensa dei vaccini o obbligarla a farlo? E come la mettiamo con la parità di opportunità che le donne dovrebbero avere: un recruiter può chiedere a una madre come penserebbe di gestire la situazione se tornasse la DAD?
Per capirne di più lo abbiamo chiesto a Giuseppe Melita, avvocato esperto in diritto del lavoro. Ecco cosa ci ha risposto in questa intervista.
Si spera faremo più colloqui nei prossimi mesi e soprattutto dopo l’estate quando le vaccinazioni procederanno a tutto spiano. Proprio in proposito, un datore di lavoro può chiedere alla persona che è davanti a sé se è vaccinata o ha preso il Covid? “A tale domanda si deve rispondere negativamente, atteso che l’articolo 10 del D.Lgs. 276 del 2003 vieta al datore di lavoro di effettuare qualsiasi indagine sulle convinzioni personali, sull’affiliazione sindacale o politica, sul credo religioso, sul sesso, sull’orientamento sessuale, sullo stato di gravidanza o di famiglia o matrimoniale, sull’età, sull’handicap, sulla razza, sull’origine etnica, sul colore, sull’ascendenza o sull’origine nazionale, sul gruppo linguistico, su eventuali controversie con precedenti datori e sullo stato di salute. In ogni caso, è consentito fare domande che rientrano negli ambiti sopra indicati qualora si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento del rapporto o che costituiscono requisito essenziale ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. Si ritiene, pertanto, che, in sede di colloquio di lavoro, ci si debba astenere dal fare domande sullo stato di salute al candidato e ciò comprende anche la circostanza che quest’ultimo abbia contratto il Covid o si sia vaccinato”.
E nel caso la assumesse, può “obbligarla” a vaccinarsi? “La questione è decisamente complessa, dato che la vaccinazione anti-Covid non è stata resa obbligatoria ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non in base ad una disposizione di legge. Infatti, la vaccinazione Covid è obbligatoria soltanto per i sanitari (articolo 4 del D.L. 44 del 2021), ma tale obbligo non è stato esteso anche ad altri lavoratori, i quali, pertanto, non possono essere obbligati a vaccinarsi dal datore di lavoro. È opinione, comunque, che, pur non potendo obbligare i dipendenti a vaccinarsi, il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure idonee a garantire l’integrità psico-fisica dei lavoratori.
Il datore di lavoro, a mente dell’articolo 279 del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro (D.Lgs. 81 del 2008), è tenuto a un generale obbligo di sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori esposti ad agenti biologici (tra cui rientra anche il virus Covid-19). Ecco perché la parte datoriale, su parere conforme del medico competente, deve adottare misure protettive particolari per quei lavoratori esposti al rischio, mettendo a disposizione vaccini efficaci da somministrare dal medico competente ovvero l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo la procedura di cui all’articolo 42, adibendolo a mansioni equivalenti o, se ciò non è possibile, anche a mansioni inferiori garantendo, però, il trattamento delle mansioni di provenienza. Alla luce dell’obbligo del datore di lavoro di garantire l’integrità psico-fisica discenderebbe, pertanto, la necessità da parte di quest’ultimo di far sottoporre a vaccinazione i propri dipendenti attraverso una lettura del T.U. sulla sicurezza sul lavoro in tutti quei casi in cui l’attività lavorativa comporti la concreta possibilità di esposizione dei propri dipendenti al virus e, in alternativa, nel caso in cui ci si trovi innanzi a un rifiuto del dipendente di attivare la procedura che preveda l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse ovvero alla sospensione dell’attività lavorativa.
C‘è anche da dire che non mancano le opinioni contrarie secondo cui, in assenza di un provvedimento legislativo ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, non vi sarebbe (né tantomeno potrebbe essere imposto) alcun obbligo per il dipendente di vaccinarsi contro il Covid-19, anche in considerazione del fatto che il piano nazionale vaccinale, per il momento, prevede che la somministrazione del vaccino è riservata esclusivamente allo Stato”.
Un selezionatore può chiedere a un candidato/a qual è il suo pensiero in merito ai vaccini, al Covid e in generale anche alla situazione politica? “Il datore di lavoro non può chiedere il pensiero del candidato sui vaccini, sul Covid e sulla situazione politica, perché ciò è vietato dall’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori. L’articolo specifica che al datore di lavoro è vietato, ai fini dell’assunzione, effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore e, in generale, su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
Dal Covid alle modalità di lavoro che sono esplose grazie al Covid: se l’attività per cui si sta assumento sarà svolta in smart working, il selezionatore deve esplicitarlo già nel colloquio o può essere vago e dirlo successivamente? Così, come di contro, deve precisare la presenza in ufficio? “Lo smart working o lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro che viene stabilita mediante un accordo tra le parti, secondo quanto previsto dall’articolo 18 della Legge 81 del 2017. Appare, pertanto, opportuno che il datore di lavoro, il quale ha organizzato la propria attività d’impresa mediante lo svolgimento della prestazione in modalità agile, faccia presente ciò già in sede di colloquio di lavoro”.
Questo è stato un periodo molto duro anche a livello psicologico: un selezionatore può chiedere al candidato se ha avuto problemi psicologici o li ha? Se soffre di depressione, attacchi di panico? “Il datore di lavoro non può domandare (articolo 10 D.Lgs. 276 del 2003) al candidato informazioni sul proprio stato di salute, per cui non potrà chiedere se è depresso o soffre di attacchi di panico”.
Molte donne durante la pandemia hanno avuto difficoltà a lavorare per via della famiglia: un selezionatore può chiedere alla persona che ha davanti come si organizza con i figli? Come bisogna rispondere in questi casi? “Non è corretta la prassi del datore di lavoro che domandi al candidato la presenza di un figlio minore di 14 anni o se ha patologie, che lo rendono maggiormente esposto al rischio di contrarre il Covid, atteso che tali domande risultano vietate dall’articolo 27 del codice delle pari opportunità (D.Lgs. n. 198 del 2006) e/o dall’articolo 10 del D.Lgs. 276 del 2003 e anche perché tese ad una preventiva valutazione da parte del datore di lavoro in ordine alla sussistenza in capo al candidato dei presupposti di cui all’articolo 90 del D.L. 34 del 2020, che ha riconosciuto il diritto a svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile ai genitori di minori di 14 anni a determinate condizioni e a coloro affetti da patologie a maggiore rischio in caso di esposizione al contagio”.
Può chiedere se ha intenzione di averne? Come bisogna rispondere in questi casi? “Le domande relative alle condizioni matrimoniali o di famiglia o di gravidanza sono vietate non soltanto dall’articolo 10 del D.Lgs. 276 del 2003, ma anche dall’articolo 27 del Codice delle Pari Opportunità a mente del quale è vietata ogni discriminazione basata tramite il riferimento alle sopra indicate condizioni. In buona sostanza il selezionatore non deve porre alcuna domanda che faccia riferimento alla vita privata del candidato su come si organizza con i figli e se ha intenzione di avere prole, per cui, trattandosi di domande vietate, non è necessario fornire alcuna risposta”.