Sono trascorsi pochi giorni dall’approvazione del nuovo Decreto Rilancio, ma già è polemica su diversi suoi punti. In particolare, tra le misure più discusse c’è la sanatoria che porterà alla regolarizzazione di circa 200mila migranti irregolari. Ma come questa misura potrà concretamente risollevare le sorti dell’agricoltura italiana, gravemente danneggiata dalla mancanza di manodopera? La sanatoria riuscirà a supplire alla mancanza di tutti quei lavoratori stranieri impossibilitati a raggiungere le aziende italiane a causa dell’emergenza Coronavirus? Ne abbiamo parlato con il Dott. Roberto Caponi, direttore dell’area Politiche del lavoro e welfare di Confagricoltura.
A proposito della sanatoria prevista dal Dl Rilancio, il presidente Coldiretti Ettore Prandini l’ha definita – in un’intervista a Il Sole 24 Ore – una misura insufficiente, in quanto solo una minima parte di questi migranti lavorano effettivamente nei campi. È dello stesso parere o secondo lei questo strumento sarà utile a risollevare le imprese agricole in Italia?
Certamente, anche noi di Confagricoltura abbiamo diverse perplessità a proposito di questa misura, per una serie di motivi. Innanzitutto, perché le aziende preferiscono i lavoratori che già conoscono, ma che ora sono bloccati nei loro paesi di origini a causa dell’emergenza Coronavirus. Ecco perché continuiamo ad insistere che la strada maestra dovrebbe essere quella dei corridoi verdi per fare rientrare i lavoratori stranieri, sia comunitari sia extracomunitari, già fidelizzati e formati per il lavoro che dovranno svolgere presso le nostre aziende. Per quanto riguarda la regolarizzazione degli immigrati relativamente al ruolo che potrebbero svolgere per la nostra agricoltura, sono diversi i problemi che ne potrebbero derivare: a parte infatti la questione delle tempistiche, essa potrebbe implicare anche un surplus di manodopera, conseguente alla riapertura delle frontiere e all’arrivo in Italia dei lavoratori fin ora bloccati.
Avete più volte sottolineato la necessità di utilizzare i corridoi verdi, perché sono così importanti? Abbiamo visto altri paesi europei già muoversi in questo senso, invece in Italia come vanno le cose?
Il punto di forza dei corridoi verdi e il perché essi costituiscano la strada maestra nell’affrontare questa situazione risiede nel fatto che quest’ultimi garantirebbero l’arrivo di una manodopera già formata e pronta a lavorare, che conosce la lingua. Per questo, noi da tempo chiediamo fortemente al governo l’attivazione di questi corridoi, ma almeno per il momento non abbiamo ottenuto nessun riscontro, tanto che ci stiamo attivando in modo autonomo. Ci stiamo infatti impegnando in prima persona e molto spesso a spese nostre per organizzare voli provenienti da diversi paesi, rivolgendoci in prima persona alle ambasciate nei paesi interessati e ovviamente assicurando il rispetto della sicurezza. A Bolzano si stanno accordando con la Romania o la Polonia, in Abruzzo con il Marocco, in Lombardia con l’India. Ma ovviamente è chiaro che poi ci sono deli ostacoli burocratici e normativi, rispetto ai quali noi non possiamo fare nulla e diventa necessario l’intervento dello Stato. Ma fin ora non è stato fatto nessun passo avanti in questo senso, nonostante le stesse direttive dell’Unione Europea abbiano incentivato i Paesi membri a favorire lo spostamento dei lavoratori all’interno dell’Unione.
Il Decreto Rilancio ha stanziato 1.150 di milioni di euro per l’agricoltura: questi fondi saranno sufficienti, in qualche modo il decreto soddisfa le vostre richieste?
Per quanto riguarda l’ambito del lavoro sicuramente ci sono due aspetti positivi. In primis l’estensione in agricoltura per altri 90 giorni della cassa integrazione. Fino al Decreto Rilancio infatti la nostra cassa integrazione non aveva visto nessun prolungamento per far fronte all’emergenza Coronavirus. Così come positiva è la decisione di dare la possibilità ai percettori di forme di sostegno al reddito (cassa integrazione, NASpI, reddito di cittadinanza) di poter lavorare in agricoltura con contratti di 30 giorni, rinnovabili per altri 30, e permettendo la cumulabilità della retribuzione con l’indennità fino ad un massimo di 2000 euro.
Ci sono invece delle criticità o comunque delle misure che vi sareste aspettate e che invece non sono state inserite nel decreto?
Di certo sarebbe stato importante introdurre una riduzione contributiva a carico dei datori di lavoro agricolo per tutto il 2020, dato anche il fatto che hanno dovuto continuare a lavorare e a dare lavoro per garantire l’approvvigionamento alimentare del paese. Ci aspettavamo che questa riduzione fosse riconosciuta a tutte le aziende di Italia, non solo per a quelle situate nelle zone più svantaggiate, perché l’emergenza ha trasformato in zona svantaggiata l’intero paese. Questa agevolazione avrebbe favorito l’occupazione, sarebbe quindi stata più opportuno agire in questo senso che intervenire con dei sussidi a favore dei disoccupati. Infine, un’altra misura che ci aspettavamo, ma che purtroppo è rimasta disattesa, riguardava la proroga dell’entrata in vigore del nuovo sistema di denuncia contributiva all’Inps – Uniemens-PosAgri – su base mensile: si tratta infatti di una trasformazione epocale che stravolge le tradizionali forme di denuncia dei datori di lavoro all’Inps, fin ora su base trimestrale, la cui introduzione era stata fissata tempo fa proprio nel mese di aprile. Ma è chiaro che in un momento delicato e difficile come questo, sarebbe stato più che logico prorogare l’avvio del nuovo sistema nel 2021.
Tornando alla sanatoria, può essere considerata uno strumento efficace nella lotta al caporalato? In questo senso potrebbe avere delle conseguenze positive anche per le aziende italiane?
Purtroppo, non credo che questo strumento sia idoneo a combattere i fenomeni dello sfruttamento e del caporalato: il caporale o comunque lo sfruttatore infatti non guarda al fatto che tu sia o meno un immigrato regolare, ma lo fa a prescindere dal tuo stato. Inoltre, su questo punto, purtroppo è ormai consolidata questa concezione del lavoro agricolo come sinonimo di caporalato o lavoro in nero: questa è una cosa del tutto sbagliata, perché in agricoltura la stragrande maggioranza delle aziende italiane assumono in modo regolare. L’azienda corretta e che lavora nel rispetto delle regole – come sono le nostre aziende – non è interessata in nessun modo da questo provvedimento. Chiudo ripetendo che questa idea che l’agricoltura sia solo foriera di sfruttamento non solo non corrisponde al vero, ma anche estremamente dannosa per il settore: purtroppo lo sfruttamento esiste e in diversi settori dell’economia, ma non è in nessun modo la cifra dell’agricoltura.