In un mondo sempre più connesso sembra sempre più facile sentirsi soli. A farne esperienza sono l’80% dei giovani e il 40% degli anziani e la rivoluzione digitale, in questo, non ha aiutato: negli ultimi quindici anni il numero di adolescenti che vedono i loro amici ogni giorno è diminuito di oltre il 40%[1]e il tutto prima che la pandemia richiudesse gran parte della popolazione in confini sempre più stretti. La ricerca delle scienze sociali ha scoperto che a contare non è tanto la dimensione delle reti ma la qualità e la struttura delle nostre connessioni. Il saggio “Chimica sociale” di Marissa King – tradotto in Italia da Bocconi Editore (Egea) – si spinge un passo più in là, andando a individuare le tipologie fondamentali di rete e spiegando come ogni persona possa impegnarsi per raggiungere un migliore allineamento con i propri valori e progetti di vita privata e professionale.
Sociologa e docente di Comportamento organizzativo presso la Yale School of Management, King mette a sistema quindici anni di studio sul modo in cui evolvono le reti sociali delle persone e su cosa significhino rispetto alla capacità di avere successo nel lavoro, di essere in salute e di trovare la propria realizzazione personale. Partendo dallo studio sui microscopici meccanismi sociali alla base del comportamento degli individui e delle interazioni umane quotidiane, l’analisi “chimica” di King si estende a quelli che Herman Melville definì i “mille fili invisibili” che collegano le vite delle persone, lungo i quali “corrono le nostre azioni come cause e ritornano a noi come risultati”.
Reti all’apparenza sempre più complesse ma che, secondo King, possono essere ricondotte a tre tipologie di ruoli fondamentali: aggregatori, intermediatori ed espansionisti, analizzati in un viaggio tra evidenze scientifiche e storie di personaggi noti del presente o del passato.
Che si tratti del leggendario “First friend” dei Presidenti Usa, Vernon Jordan, o della ragazza più popolare della scuola, gli espansionisti hanno reti straordinariamente estese, godono di una certa fama e hanno una capacità sorprendente di stare al centro dell’attenzione. Di solito preferiscono legami deboli e dedicano la maggior parte del loro impegno sociale a fare nuove conoscenze. Allo stesso tempo hanno meno difficoltà a porre fine alle relazioni perché i loro rapporti non prevedono molti obblighi reciproci e spesso faticano a mantenere i legami e a usarli per creare valore per sé o gli altri.
Gli intermediatori, invece, il valore lo creano facendo da tramite tra mondi sociali diversi, ricombinando idee e informazioni per generare soluzioni e innovazioni. Di solito hanno alcuni legami forti ma il valore della loro rete deriva da quelli deboli, che curano con grande attenzione. Il rovescio della medaglia è il rischio di essere percepiti come persone poco autentiche, talvolta perfino calcolatrici. Quello dell’intermediatore è un profilo che rappresenta al meglio alcuni grandi politici come Cosimo de’ Medici e grandi innovatori nei campi più disparati, dallo chef spagnolo Ferran Adrià al violoncellista statunitense Yo Yo Ma.
Gli aggregatori, infine, sono persone che tendono a vivere in reti dense in cui i propri amici lo sono anche tra loro, preferendo legami forti. Persone che non amano uscire dalla propria cerchia, che si tratti dei vecchi compagni di sempre o di conoscenze esclusive come quelle della nota giornalista Anna Wintour. Piuttosto che passare del tempo a esplorare più mondi sociali, gli aggregatori tendono a radicarsi in profondità in alcuni di essi costruendo reti caratterizzate da elevati livelli di fiducia reciproca e resilienza nelle crisi, ma che rischiano di non aprirsi al cambiamento e alla novità. E che spesso, quindi, trovano la loro felicità più nella vita privata che in quella professionale.
Secondo King, comunque, non esiste una tipologia migliore di altre. Anzi, in base all’analisi condotta su quasi mille reti di altrettanti soggetti, l’autrice ha scoperto che una persona su tre non ha uno stile definito con chiarezza mentre il 20-25% possiede uno stile misto che può rappresentare una risorsa.
“La rete più appropriata è quella che corrisponde ai vostri obiettivi personali, alla vostra carriera e alle vostre necessità”, spiega King. “I vantaggi della visibilità, della popolarità e del potere che derivano dall’essere espansionisti hanno grande valore all’inizio della carriera o per tutti quei professionisti che hanno bisogno di vedere e farsi vedere. I vantaggi in termini di innovazione che derivano dall’essere intermediatori sono maggiori nei settori creativi o in quelle arene che privilegiano un lavoro unico. I vantaggi a livello di fiducia e reputazione degli aggregatori contribuiscono a garantire il benessere emotivo, a proteggere dalla solitudine e dal burnout e sono massimi in tutti quegli ambiti caratterizzati da grande incertezza interpersonale. Momenti e sfide diversi richiedono reti diverse. Proprio come le vostre esigenze emotive, sociali e lavorative, anche la vostra rete può evolvere nel tempo”.
Conoscere il proprio ruolo sociale, insomma, non è né uno sfizio fine a se stesso né il passepartout per una migliore carriera lavorativa, ma qualcosa di ben più importante: se una rete ben strutturata ha molte probabilità di migliorare la retribuzione di una persona, ne ha ancora di più di migliorare la qualità delle sue idee e della sua vita. Oltre l’ufficio – o lo schermo di un computer – le connessioni sociali restano la linfa vitale della salute e della felicità e chiunque può impegnarsi per costruirne di più significative.