In che direzione sta andando il mondo del lavoro e come la pandemia l’ha cambiato notevolmente? A queste domande ha provato a rispondere il XXII Rapporto sul mercato del lavoro e della contrattazione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), presentato qualche settimana fa dal presidente Tiziano Treu, il ministro del lavoro Nunzia Catalfo, Stefano Scarpetta, Director for Employment, Labour and Social affairs dell’OCSE e i consiglieri del CNEL.
Il welfare va ripensato e il reddito di cittadinanza non basta. Da quel che emerge dall’analisi è che, come ha detto lo stesso Treu, il welfare va ripensato ed è una delle “condizioni per far ripartire il motore dell’economia in sicurezza. La pandemia, infatti, ha messo in evidenza non poche falle nel nostro sistema di protezione sociale, sia negli ammortizzatori (CIG e Naspi) nonostante la riforma del 2015 avesse provveduto a una loro estensione, sia nel più recente reddito di cittadinanza che doveva fornire un aiuto economico alle fasce disagiate di popolazione attiva e aiutare quelli abili al lavoro a trovare occupazione”.
I numeri della pandemia: tra lavoratori colpiti e prestazioni a sostegno del reddito
I dati del Rapporto CNEL evidenziano come la crisi conseguita dall’emergenza Covid-19 abbia colto 12 milioni di lavoratori. E questi non sono solo dipendenti ma anche autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata ridotta o in alcuni casi sospesi.
Tutti questi soggetti, si legge nel comunicato stampa del CNEL, sono stati interessati dall’erogazione di prestazioni di sostegno al reddito nel periodo fino al 13 ottobre 2020 così distribuiti: 6.515.000 lavoratori subordinati a tempo determinato o indeterminato (2.906.000 beneficiari di CIG ordinaria, 2.100.000 beneficiari delle prestazioni dei Fondi di solidarietà gestiti all’INPS, 1.509.000 beneficiari di CIG in deroga).
A questi si aggiungono 733.611 beneficiari dell’assegno ordinario a carico del fondo bilaterale per l’artigianato, 408.608 beneficiari dell’assegno ordinario a carico del fondo bilaterale per i lavoratori in somministrazione, oltre a 4.352.000 lavoratori inclusi nel sistema speciale di protezione sociale con i decreti-legge contenenti norme di contrasto agli effetti dell’emergenza: 3.259.000 lavoratori autonomi, professionisti e collaboratori, 250.000 lavoratori stagionali, 554.000 lavoratori agricoli, 41.000 lavoratori dello spettacolo, 31.000 lavoratori intermittenti, 5.000 lavoratori autonomi occasionali e venditori a domicilio, 212.000 lavoratori domestici (fonte: dati INPS, EBNA-FSBA fondo artigianato e Forma.temp fondo somministrazione).
Precari e lavoratori a termine tra i più colpiti
Nel rapporto, che è suddiviso in 18 capitoli e 3 sezioni, emergono i dati drammatici che riguardano i precari e i lavoratori a termine che sono coloro che pagano un prezzo occupazionale più alto. Si legge nel documento del CNEL che “per la parte di anno fin qui trascorsa, la diminuzione dell’occupazione si è quasi totalmente concentrata sui dipendenti a termine (-362 mila, pari a -11.8% in un anno), e in parte ha continuato a coinvolgere gli indipendenti, proseguendo in questo caso una tendenza in atto ormai da più di un decennio (-142 mila, -2.7%), a fronte di un lieve aumento dei dipendenti permanenti, protetti dalle misure eccezionali assunte dal governo”.
Inoltre “se si pone pari a 100 il livello di occupazione mediamente raggiunto nel periodo immediatamente precedente al diffondersi della crisi da Covid-19, ovvero quello osservato tra dicembre 2019 e febbraio 2020, i dati evidenziano una variazione leggermente positiva per i dipendenti a tempo indeterminato, e una contrazione molto ampia per i dipendenti a termine, oltre a una flessione per gli indipendenti”.
Un andamento che è dovuto al crollo delle assunzioni ma anche al fatto che “molti contratti a termine in scadenza non sono stati rinnovati”.
La pandemia ha poi accentuato le differenze generazionali ma anche legate al genere. Dai dati emerge che la prima ondata ha rallentato in particolare gli under 35 che nei sei anni precedenti avevano, come dire, guadagnato delle posizioni e ha di contro aumentato la frattura con gli over 50 che per il momento sono stati “risparmiati”.
Stando al rapporto, se il tasso di occupazione tra i giovani è passato dal 41,5% al 39,4%, per le persone sopra i 50 anni è leggermente salito: dal 32,6% al 32,9%. Per le donne la situazione non è migliorata: rispetto al periodo pre-crisi l’occupazione femminile si è ridotta del quasi 2% mentre per gli uomini “solo” dell’1%.
Cala la disoccupazione sì, ma sono aumentati gli inattivi, i cosiddetti NEET
Il CNEL evidenzia anche il calo della disoccupazione che potrebbe sembrare da un lato una buona notizia e in controtendenza con quanto abbiamo detto, ma dall’altro non è così.
Perché se disoccupato è chi “ha intrapreso almeno un’azione di ricerca di lavoro nell’ultimo mese o è disponibile a iniziare un lavoro entro due settimane”, dato che queste condizioni sono state ostacolate dal lockdown. ne è conseguito che sono aumentati gli inattivi che sono 2 milioni.
Vale a dire chi non cerca anche a causa dell’emergenza sanitaria né è disponibile a lavorare nel breve periodo. Questo ha riguardato di più il primo lockdown perché nei mesi estivi “la partecipazione al mercato del lavoro ha ripreso a normalizzarsi. Il numero delle persone in cerca di occupazione è risalito in maggio ed è progressivamente ritornato intorno ai valori pre-crisi nei mesi estivi. Il tasso di disoccupazione si è potato a settembre al 9.6 per cento”.
Interessante il fatto che il CNEL evidenzi come sia difficile descrivere le condizioni del mercato del lavoro visto che il tasso di disoccupazione non è un indicatore adeguato. Questo perché conteggia quanti lavoratori sono senza lavoro indipendentemente da quante ore di lavoro hanno effettivamente prestato nel periodo di riferimento. Ossia, per capirci, se i lavoratori in cassa integrazione sono considerati occupati a tutti gli effetti (anche se a zero ore), il tasso di disoccupazione non ne risulta influenzato. I cassintegrati, ricorda, il rapporto “rappresentano però un’ampia fascia di sottoccupati o disoccupati parziali”. Inoltre risulta che è stato uno strumento cui si è fatto ampio ricorso in particolare nel mese di maggio 2020.
Semplificare le procedure per accedere agli ammortizzatori sociali. Ecco perché come detto da Treu durante la presentazione del rapporto: “Va sottolineata l’esigenza di semplificare le procedure per rendere più agevolmente accessibili gli ammortizzatori sociali, non solo quelli previsti per affrontare la crisi pandemica, ma quelli da immaginare per il futuro. Con la sicurezza di due segnali di speranza importanti come l’avvio della vaccinazione e la disponibilità dei fondi del Next Generation EU, dobbiamo guardare avanti ponendo in essere nel più breve tempo possibile misure a supporto di giovani e donne, le categorie più colpite dalla crisi”.