Dove sta andando il mondo del lavoro? Questo periodo è totalmente negativo o ci sono degli aspetti che sono migliorati, nonostante tutto? Questa volta a rispondere non sono i dati Istat o altri enti che fotografano la situazione, ma diamo la parola ai datori di lavoro. O meglio, ad averla data è stato Indeed.com, sito per la ricerca di lavoro, sia da web che da mobile, attivo in oltre 60 paesi e 28 lingue, che ha condotto un sondaggio coinvolgendo 17.500 persone (3500 datori di lavoro e 14.000 lavoratori) tra Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Messico, Brasile, USA, Irlanda, Australia, India, Singapore, Canada e ovviamente l’Italia.
Com’è la situazione in Italia: il numero degli annunci è simile al pre-Covid. Tenendo presente la ricerca, ci concentriamo in particolare sul nostro Paese riguardo al quale abbiamo contattato telefonicamente Dario D’Odorico, responsabile per il mercato Italia di Indeed.com. “Nonostante si arrivi da un anno difficile, le aziende non si arrendono e lo dimostra il fatto che per questo mese di febbraio il numero dei nuovi annunci è tra i 70.000 e gli 80.000: lo stesso che c’era nel periodo pre-Covid. Siamo più o meno in linea, è giustamente aumentato il numero di visitatori: siamo arrivati a un picco di 16 milioni e questo è comprensibile visto che le persone cercano lavoro e vogliono ricominciare”.
Le aziende italiane porteranno avanti il recruitment. E se nel mondo, stando alla ricerca di Indeed.com, 1 datore di lavoro su 10 ritiene che sarà costretto a mantenere una politica di blocco delle assunzioni per via della pandemia e questa percentuale diventa del 18% in Italia, c’è da dire che il 57% delle imprese nostrane porterà avanti le proprie attività di recruitment. Nel dettaglio: il 18% solo per ruoli chiave, il 22% non modificherà in alcun modo i propri piani, mentre il 17% sta valutando di assumere di più rispetto a prima della pandemia. Non ci saranno invece grandi cambiamenti sul fronte dei salari su cui gli Italiani si mantengono “conservativi”.
Forte accelerazione alla digitalizzazione. Ma un cambiamento, evidente, c’è stato ed è quello che riguarda “la forte accelerazione alla digitalizzazione”. Come ci conferma infatti D’Odorico: “Noi eravamo un po’ indietro rispetto agli altri. Le aziende utilizzavano poco la ricerca online, cosa che hanno iniziato a fare. Ce ne sono alcune che, come Indeed, non solo hanno assunto da remoto, ma hanno portato avanti così tutto il processo di onboarding (termine con cui si definisce l’inserimento di una nuova persona, ndr). Le difficoltà comunque non erano tanto a livello di tecnologia, ma di mentalità e da parte del management team. In Italia, per esempio, c’erano tanti career day che oggi sono stati spostati sul digitale e secondo gli HR ciò continuerà anche successivamente perché in questo modo si possono raggiungere molti più candidati. Che poi è la stessa cosa dello smart working: se faccio lo sviluppatore software non serve che vada in ufficio: così l’azienda si può permettere di considerare persone da un bacino molto più ampio rispetto a prima”.
Quello della flessibilità e della possibilità di lavorare da casa, stando al sondaggio di Indeed.com, sembra essere il “nuovo mantra” per più del 50% dei datori di lavoro italiani, tanto che anche nella Penisola c’è chi inizia a pensare a una riduzione degli spazi di lavoro/destinati a uso ufficio (7%). Oltre a valutare le periferie.
E quanto ai settori? “La percezione è che ci siano delle aziende che stanno crescendo e stanno assumendo sempre di più come quelle della logistica, in ambito digital e ce ne sono tante altre che stanno soffrendo”.
Crescono i virtual career day. “Per la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), per esempio, il 30 marzo organizzeremo unnational hiring day. Se si chiedono e organizzano career day virtuali, questo dimostra che ci sono aziende che cercano. Non si può negare che la situazione è di oggettiva difficoltà, ma ci sono imprese che continuano ad assumere e altre che oltre a partecipare a career day virtuali fanno degli eventi specifici solo per se stesse. Non sono solo grandi imprese, ma ci sono anche PMI. Diciamo che dipende molto dalla digitalizzazione di ciascuna”.
Continua D’Odorico: “Fino a qualche tempo fa in Indeed.com usavamo le varie piattaforme che si usano per le riunioni online, adesso, visto che si tratta di un fattore tutt’altro che trascurabile, abbiamo sviluppato una virtual interview platform. Il recruiter ci comunica gli orari disponibili e noi facciamo arrivare i candidati, verificando con delle “screener question” (domande muro) che siano i più in linea. Lato candidato, questi può raccogliere tutte le informazioni sull’azienda tramite la pagina a essa dedicata. Strumento che offriamo in ottica di employer branding gratuitamente. C’è poi una versione premium con delle metriche e analitiche a parte”.
Certo, rispetto ai career day classici, manca il cosiddetto momento di plenaria, visto che in questo modo il rapporto tra il candidato e il recruiter è uno a uno. “Sì, è vero” ammette il responsabile di Indeed.com “e infatti stiamo vedendo di progettare anche questo perché in Italia c’è una richiesta in tal senso”.
Sicurezza del lavoro, evoluzione business aziendale e percorso di carriera: gli strumenti delle aziende. Al di là dei career day virtuali o meno, su cosa le aziende puntano per attrarre le persone? Stando sempre alla ricerca, al primo posto c’è la sicurezza del lavoro (40%), seguita da una prospettiva positiva di evoluzione del business aziendale (28%) e dall’offerta di un chiaro percorso di carriera (29%). Questi sono oggi i migliori strumenti che le imprese ritengono di avere a disposizione in fase di recruitment, più validi anche di un aumento salariale (19%). Chiave è anche poter garantire il rispetto di salute e sicurezza sul posto di lavoro (25%).
Cultura aziendale e rapporto più stretto tra HR e marketing/comunicazione. Ma non solo, stando a D’Odorico e al suo ruolo di osservatore speciale, “le aziende stanno cambiando approccio: lo smart working è la parola più ricercata nella nostra piattaforma perché come dicevamo, non si pensa più solo alla cosiddetta relocation, ossia al trasferimento del candidato come condizione necessaria, ma si cercano i talenti lì dove stanno. Una cosa che noto e che c’era già prima, ma ha subito un’accelerazione, è l’importanza del clima aziendale, il cosiddetto company culture. In passato avevamo svolto dei sondaggi che evidenziavano che per i giovani è cruciale che l’azienda rispetti i valori con cui si propone. Inoltre, c’è una maggiore attenzione alle persone così come una collaborazione più stretta tra la funzione HR e il marketing/comunicazione, un avvicinamento reso possibile dal periodo”.
Lato candidato, si parla sempre di soft skill, ma quali sono quelle più richieste? “Sia dagli annunci che dalle round table che organizziamo con i recruiter, abbiamo notato che c’è più consapevolezza di come queste siano più difficili da ‘apprendere’ rispetto a quelle tecniche. Per fare qualche esempio: sono competenze trasversali la proattività, la voglia di fare. E per “misurarle” i selezionatori chiedono sempre più spesso al candidato di raccontare qual è un proprio progetto portato avanti. E questo per valutarne l’approccio nella gestione. Così come gli HR sono sempre più interessati a valutare le esperienze extra-curriculari: corsi fatti, viaggi all’estero ecc… Con i grandi cambiamenti, poi, è importante vedere come si reagisce a essi.
E chi cerca lavoro a cosa deve prestare attenzione? “In primis deve ricordarsi che la scelta è reciproca, così come il datore di lavoro sceglie il candidato, vale anche viceversa. E pure in questo periodo. Anche perché se non sei contento non sei produttivo. Altra cosa importante – e su cui l’Italia è indietro – è considerare il mondo nella sua totalità, magari farsi delle esperienze e poi rientrare. L’investimento che bisogna fare è su se stessi e il fatto di investire su un progetto lo dimostra. Infine le aziende più moderne hanno capito che la permanenza non è un valore e soprattutto non vale per tutte le competenze. Una persona che ha fatto esperienze diverse è spesso un arricchimento”.
Infine, qualche nota su Indeed.com: il sito funziona come un motore di ricerca (come dice D’Odorico “il modello è molto simile a Google o a Booking ma per il mondo del lavoro”), è gratuito sia per i candidati che per le aziende che mettono i loro annunci. Questo fino a che non decidano, per raggiungere un maggior numero di candidati, di sponsorizzare le offerte, pagando in base ai click degli utenti e in base al budget stabilito (il cosiddetto pay per click). La creazione della pagine aziendali è invece gratuita. Quanto agli annunci, c’è un controllo del software che scarta le parole sensibili, offensive ecc… e a campione un team che verifica la qualità degli annunci.
Lato candidato per ogni annuncio viene indicato lo stipendio medio, il tempo di risposta e altri parametri che aiutano a capirne di più e a vagliare l’iter di ricerca e selezione.