Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. è un’azienda italiana nata dal sogno e dalle capacità di un artigiano rinascimentale che, grazie al coraggio, alla visione ed alla tenacia della sua discendenza, è divenuta un nome riconosciuto a livello internazionale per contenuti tecnologici e di performance e per l’italian style che caratterizza i suoi prodotti. Dalla più antica ‘fattura di vendita’ datata 3 ottobre 1526, oggi conservata nell’archivio dell’arsenale di Venezia, quasi cinquecento anni di provata attività lavorativa hanno consentito a Beretta di sviluppare un know how unico. In costante equilibrio fra tradizione e innovazione, Beretta coniuga l’avanguardia della meccanica, dei moderni centri di lavoro a controllo numerico, assistiti da robot, con l’eccellenza artigianale delle lavorazioni manuali nelle operazioni di assemblaggio e finitura delle armi e nella realizzazione delle prestigiose incisioni eseguite nell’atelier interno sui raffinati fucili del segmento Premium. Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. è una controllata di Beretta Holding S.p.A., creata nel 1996 per gestire lo sviluppo ed il coordinamento strategico delle aziende del Gruppo. Nell’esercizio 2015 Beretta Holding ha registrato un fatturato consolidato di 660 milioni di Euro. Abbiamo intervistato Stefania Preti, People Development Manager di Fabbrica D’Armi Beretta S.p.A, sulla politiche di talent acquisition della storica azienda del bresciano.
L’acquisizione dei talenti è un tema strategico per le aziende: gli strumenti tradizionali di recruiting sono sufficienti per selezionare e individuare quelli giusti oppure c’è un’esigenza di rinnovamento?
Se intendiamo per talenti i giovani professionisti o neo laureati che, rifacendoci alla metafora biblica, posseggono in nuce alcune doti spiccate, del potenziale insomma, sulle quali l’azienda vuole investire per crescere insieme, allora certamente i sistemi tradizionali di recruiting non bastano. Il mondo di oggi, fortemente digitalizzato, impone anche alle aziende di utilizzare linguaggi nuovi per parlare con i candidati talentuosi, per attrarli e coinvolgerli. Partiamo dal presupposto che, solitamente, i talenti possono scegliere perché hanno le carte in regola per farlo. Saranno quindi selettivi e demanding nell’approcciarsi ad un nuovo progetto professionale e, probabilmente, si accosteranno all’azienda con lo stesso atteggiamento di un cliente di fronte ad un prodotto, del quale si vuole approfondire la Value proposition per decidere se sceglierlo effettivamente. Un secondo dato interessante è la sempre maggiore attenzione dei candidati, e in questo i talenti non fanno eccezione, agli aspetti soft, di clima, dell’azienda, che una volta erano ritenuti accessori. Su queste basi, ritengo che la caccia ai talenti debba partire da molto lontano, in primis dalla creazione e comunicazione di un ambiente aziendale aperto, stimolante, piacevole: la presenza digitale di un brand, auspicabilmente valorizzata dai contributi di chi già ci lavora, è una condizione di esistenza per avere presa sui talenti di oggi. LinkedIn è uno strumento chiave in quest’ottica, perché è il network professionale più diffuso al mondo, dove aziende e candidati imbastiscono relazioni, scambiano contenuti, si aggiornano e rinforzano le proprie identità distintive. Credo che a breve non potremo prescindere neppure da finestre come Glassdoor o EmployerLand, anche se, rispetto a LinkedIn, mi sembra possano offrire il fianco ai pettegolezzi da corridoio. Il talento, insomma, va attratto attraverso un sapiente e genuino piano di comunicazione, soprattutto digitale, va sedotto con colloqui caldi, in cui si è magari disposti a rompere gli schemi tradizionali del recruiting, ad esempio facendo loro “annusare”, sebbene informalmente, l’azienda fin dalle prime fasi, e, infine, va coltivato con coerenza sia professionalmente sia relazionalmente.
Quali sono i principali strumenti e le principali prassi che utilizzate per la telent acquisition e per fidelizzare le migliori risorse?
In Beretta puntiamo molto sul networking: spesso sono i nostri stessi collaboratori che, pescando dai propri network professionali, ci segnalano opportunità di incontri interessanti, che facciamo sempre come attività di prospezione. Il nostro è un settore particolare e, in aggiunta a questo, la nostra sede è in un’amena località pedemontana, che potrebbe scoraggiare i giovani. Inoltre l’azienda sta ampliando molto le attività di comunicazione interna ed esterna, cercando di cogliere anche diverse opportunità di miglioramento in termini di Employer Branding. A questo si affianca elevata attenzione per la dimensione del welfare aziendale, importante per chi vive e chi vorrà vivere l’azienda, e diverse opportunità di sviluppo professionale a tutti i livelli organizzativi come l’iscrizione a Master specialistici, l’uso del job posting per stimolare nuovi percorsi di carriera, o esperienze di job rotation a livello internazionale, specialmente oltreoceano con la consociata Beretta USA. Infine, strategicamente teniamo gli sguardi puntati su ambienti che coltivano il talento in situazioni ponte tra il mondo accademico e il mondo aziendale, come in provincia di Brescia il CSMT (Centro Servizi Multisettoriale Tecnologico) o Talent Garden, incubatore di start up ma anche fucina di eccellenti professionisti del domani.
Si parla molto di millennials e di come la loro specificità e forma mentis stia in qualche modo influenzando non solo le pratiche di recruiting ma anche le modalità di organizzazione del lavoro delle aziende, verso modelli più flessibili dal punto di vista dei tradizionali modelli spazio-tempo. E’ effettivamente così e in che modo le aziende stanno cambiando?
Diciamo che in azienda abbiamo già parecchi nativi digitali, ma i millennials non sono ancora entrati. Eppure stiamo già vivendo l’impatto della diversità culturale, che è più accentuata rispetto alle passate generazioni. I nativi digitali sono veloci, tattili (scroll, tab, scan), informali e ambiziosi, pescando dalla nostra esperienza. Diciamo anche che sono tendenzialmente poco umili, impazienti e non particolarmente inclini all’approfondimento: insomma, ancora una volta, una medaglia con due lati. Come fare a valorizzare la loro diversità? Per averli a bordo bisogna investire sulla relazione, farsi guidare dalla loro spinta sul digitale e offrirgli cornici concettuali solide. Il feedback strutturato è importante, perché spesso non riescono a rielaborare le emozioni positive o negative per trarne spunti di miglioramento professionale. Noi lo facciamo soprattutto grazie all’opportunità che il contratto di Apprendistato Professionalizzante dà in termini di dote formativa e occasioni di confronto formalizzato.
Scegliere le persone giuste non è sempre facile e quando c’è di mezzo il fattore umano sbagliare è molto facile. Si parla spesso in questo senso di “professionisti del colloquio di lavoro”. Chi sono?
Ci sono persone molto abili nel sostenere colloqui, che, in modo più o meno innato, riescono a gestire codici verbali e non verbali al meglio per fornire una prima impressione di ottimo livello. Certamente sono persone che sanno ascoltare l’interlocutore e che sanno adattarsi a lui, anticipandone i desiderata. Pertanto credo sia un talento, sul quale però sarebbe ingenuo costruire una relazione professionale che voglia avere i tratti della durevolezza. Per limitare il rischio, Beretta sottopone sempre ai candidati un test attitudinale, il Disegno reattivo di Wartegg, che viene interpretato da uno psicologo del lavoro col quale lavoriamo da anni e con cui c’è assoluta sintonia e confidenza reciproca. Nel caso in cui la forma sintetica del test non faccia sufficiente chiarezza o per ruoli di particolare complessità, invitiamo lo psicologo anche ad un breve colloquio di restituzione e approfondimento con il candidato. Mi sembra bello sottolineare che, in ogni caso, lo psicologo si rende disponibile a spiegare gli esiti del test a tutti i candidati che lo volessero in via telefonica: in questo modo azienda e candidato possono comunque dire di aver vissuto un’esperienza win win.
La strategia di acquisizione di talenti e risorse risente inevitabilmente del target di riferimento. Ci sono delle categorie professionali difficile da trovare e fidelizzare?
Per la nostra esperienza direi che i profili digitali sono i più difficili da trovare al momento, in parte perché non c’è ancora una scuola vera e propria, in parte perché alcuni mestieri sono appena nati e, da ultimo, perché molti professionisti del digitale sono liberi professionisti e non ambiscono ad entrare in azienda. Mi riferisco in particolare all’ambito e-commerce e a figure come il Digital specialist, il Data analyst o il Data scientist. Inoltre anche il mondo del fashion è abbastanza ostico da perlustrare per dei new comers come noi, che abbiamo solo recentemente ampliato al non armi la nostra offerta prodotto.
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Chi è Silvia Preti – Brillantemente laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la Dott.ssa Preti entra nello staff Beretta come addetta al Customer Service nel 2004. Approfondisce poi le proprie competenze in ambito commerciale seguendo personalmente la commercializzazione dei marchi Steiner, Burris, Sako e Tikka sul mercato italiano. Nel 2012 ottiene il Diploma di Master ISFOR in ‘Economia e Gestione della Piccola e Media Impresa’ con menzione di lode, perfezionando così le competenze acquisite sul campo e attraverso il Diploma di Gestione Operativa dei Progetti e dei Processi Aziendali, conferito da C.S.M.T. e Università degli Studi di Brescia nel 2011. Raggiunge infine la Direzione Organizzazione e Sistemi nel 2013 con il ruolo di People Development Manager, occupandosi dello sviluppo organizzativo nelle funzioni di staff e a livello internazionale. E’ inoltre responsabile delle politiche di welfare aziendale, che prevedono oltre 40 iniziative su 5 diverse aree di intervento.