Frutto dell’intesa tra Lega e Movimento 5 Stelle, è stato presentato dal leghista Andrea Dara, nonché relatore dello stesso, il disegno di legge che ha come obiettivo quello di reintrodurre l’obbligo di chiusura dei negozi la domenica e nelle festività.
Cosa prevede il disegno di legge. Il Ddl, depositato il 5 febbraio scorso presso la Commissione attività produttive della Camera, prevede la chiusura dei negozi per almeno 26 domeniche l’anno, la metà di quelle sul calendario. Inoltre, stando alla proposta di legge presentata dai due partiti di maggioranza, le saracinesche dovranno restare abbassate anche nelle 12 principali festività (Capodanno, Epifania, Pasqua, Pasquetta, anniversario della Liberazione, Primo maggio, festa della Repubblica, Ferragosto, Ognissanti, Immacolata Concezione, Natale e Santo Stefano). Qualche eccezione riguarda i centri storici delle grandi città ed i negozi di vicinato i quali saranno esenti dai vincoli sopra citati, mentre nei comuni fino a 10mila abitanti potranno restare aperti di domenica le attività con una superficie fino 150 metri quadrati e in quelli con più di 10mila abitanti i locali commerciali fino a 250 metri quadrati. Per quanto riguarda le zone turistiche, invece, le località di montagna potranno utilizzare le 26 aperture domenicali nei mesi freddi, quelle balneari sfrutteranno il bonus nei mesi estivi. Ma arriviamo alle multe previste per chi si ostina a voler lavorare nelle date proibite. Chi sarà sorpreso a violare le nuove norme non sarà solamente invitato a chiudere i battenti, bensì sarà soggetto a sanzioni amministrative che vanno da 10mila a 60mila euro.
Le conseguenze. Ma qual è la reazione del mondo del commercio di fronte a questa possibile nuova norma? Quali potrebbero essere il prezzo da pagare o i vantaggi da trarre per tale provvedimento? Se è vero che la battaglia per le chiusure domenicali è appena iniziata, è ancor più evidente che la legge già divide il mondo del commercio che si schiera, su 2 fronti opposti, con la grande distribuzione che difende le liberalizzazioni volute nel 2011 da Monti da un lato ed i piccoli esercenti che percepiscono questa regolamentazione come una necessità, dall’altro.
“Come Federazione – dice Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida, in un intervento riportato da Il Sole 24 Ore – ribadiamo che la totale deregolamentazione ci ha sempre trovati contrari perché non garantisce il mantenimento della pluralità commerciale creando di fatto una disparità a favore delle grandi superfici, che possono utilizzare la turnazione del personale, a scapito della piccola distribuzione che spesso e volentieri ha all’interno soltanto il titolare con la conseguenza di non poter garantire trecentosessantacinque giorni di apertura all’anno”. Sulla stessa posizione sono pure Aldo Amoni, numero uno della Confcommercio di Foligno e Simone Mattioli, presidente folignate di Confesercenti.
Non è dello stesso avviso Marco Brunelli, fondatore del Gruppo Finiper, il quale spiega in un’intervista a Il Sole 24 Ore che ci sarebbe la “necessità di coinvolgere anche i rappresentanti dell’industria e dei produttori del largo consumo perché, se si dovranno acquisire meno merci, anche la loro produzione calerà”. Contrari anche Confimprese, Confindustria e Centromarca. Le associazioni di categoria, infatti, stimano un calo dei consumi di oltre 4 miliardi l’anno e il rischio conseguente di almeno 40mila licenziamenti.
I cittadini dicono la propria. Per dare uno stop a quella che per ora è solo una proposta di legge ma che potrebbe entrare in vigore a partire dal prossimo anno, sono partite anche una serie di iniziative che coinvolgeranno i cittadini. Ci saranno, infatti, campagne sui social, raccolte di firme contro le chiusure e sondaggi per capire come potrebbero reagire i consumatori di fronte alla rinuncia allo shopping nei fine settimana.