Con la sentenza n. 18678 del 12.6.2014 la Corte di Cassazione ha affermato un innovativo principio giuridico in tema di legittimità del licenziamento di un lavoratore in caso di eccessivo assenteismo.
In sintesi, il caso di specie riguarda un dipendente che, mediante un’abile e sofisticata attività di programmazione, era solito accumulare sistematicamente le proprie assenze dal servizio a titolo di malattia in prossimità di altri periodi di astensione dall’attività (quali, ad esempio, ferie, permessi e riposi) così da prolungare i periodi di inattività, pur avendo cura, al contempo, di non superare il periodo massimo di assenze per malattia consentito dalla contrattazione collettiva di riferimento (c.d. periodo di comporto).
A seguito di tale condotta, la Società provvedeva ad intimare al lavoratore il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in ragione della ritenuta insufficienza e non proficuità della prestazione lavorativa offerta dal dipendente. All’esito del ricorso proposto dal lavoratore avverso il predetto recesso datoriale, in primo grado il Tribunale di Vasto ed in secondo grado la Corte di Appello di L’Aquila confermavano la legittimità del provvedimento di recesso, rigettando le domande avanzate dal dipendente.
Chiamata a pronunciarsi in ultima istanza sulla questione, con la pronuncia innovativa in commento la Suprema Corte ha definitivamente confermato la legittimità del licenziamento intimato dalla Società, avendo ritenuto legittimamente intimabile il recesso datoriale, non solo nell’ipotesi in cui l’eccessiva morbilità conduca al superamento del periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva, ma anche (e sotto tale profilo si sottolinea l’originalità della pronuncia) anche allorquando le assenze del lavoratore, seppur complessivamente inferiori alla predetta soglia massima contrattuale di tollerabilità, siano comunque tali da “da(re) luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società”, al punto da risultare “inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale”.
In particolare, i Giudici di Legittimità hanno confermato la legittimità del licenziamento, avendo rilevato che le assenze del dipendente “davano luogo a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro”, con ciò “incidendo negativamente sulla produzione aziendale”, nonché “sulle esigenze di organizzazione e funzionamento dell’azienda, dando luogo a scompensi organizzativi”.
Su tali presupposti, la Cassazione ha quindi ricondotto il recesso datoriale nell’alveo del licenziamento per scarso rendimento, con la precisazione che, in merito all’onere della prova, è sufficiente che risulti provato, “sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, ed a lui imputabile, in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.
In conclusione, la pronuncia in esame, anche sotto il profilo della quantità della prestazione lavorativa offerta dal dipendente, sottolinea, ancora una volta, l’indispensabilità del rispetto dei generali principi di correttezza e buona fede nel corso del rapporto di lavoro, conducendo alla conclusione che, anche laddove il dipendente non abbia accumulato un numero complessivo di assenze per malattia superiore al periodo di comporto, il sistematico ricorso all’assenteismo tattico (ossia in prossimità di altri periodi di assenza dovuti a differente titolo) costituisce una condotta contraria ai suddetti principi e, pertanto, può legittimare il recesso datoriale laddove la frammentarietà della prestazione lavorativa risulti incidere sensibilmente sulla proficuità e produttività della stessa, insindacabilmente valutati dal datore di lavoro.