Intervista a Luca Scarabosio, vice Presidente Assocontact, l’associazione che raccoglie le aziende di contact center in outsourcing aderente a Confindustria. L’intero settore conta circa 80 mila addetti di cui il 72% sono lavoratori dipendenti mentre il 28% sono collaboratori a progetto. Quest’ultimi sono coloro che svolgono attività in outbound, ossia di teleselling, telemarketing e attività di recupero crediti. Se la previsione di cancellazione del contratto a progetto indicata nel Jobs Acr dovesse confermarsi, per circa 35 mila collaboratori in outbound si aprirebbe un problema serio di sostenibilità. Il vice presidente di Assocontac ci spiega perché.
Il Jobs Act prevede l’abolizione dei contratti a progetto. La misura non è immediata ed è subordinata ad una moratoria di 6 mesi in cui il Governo verificherà la effettiva ragion d’essere di molti contratti cosiddetti “atipici”, dopodiché potrebbe scattare la “mannaia”. Perché siete fortemente contrari alla cancellazione di questo contratto?
Nel nostro settore ci sono due tipologie di lavoratori: quelli che ricevono le chiamate e quelli che le fanno. I primi, i cosiddetti inbound, sono tutti lavoratori assunti a tempo indeterminato perché si tratta di una tipica mansione del lavoro dipendente. I secondi, invece, i cosiddetti outbound, svolgono un lavoro di vendita telefonica, svolgono un’attività sostanzialmente autonoma o comunque parasubordinata e sono remunerati anche in base ad una logica di premialità sul risultato. Sono collaboratori che non possono essere ricondotti nell’alveo del lavoro subordinato e per questo sono inquadrati tutti con contratti a progetto. L’ambito delle attività in outbound risente di una strutturale discontinuità lavorativa basata su campagne promozionali e di vendita limitate nel tempo e di conseguenza è indispensabile avere un modello di organizzazione del lavoro flessibile. Il contratto di collaborazione a progetto è lo strumento ideale e legittimo per la regolazione di nostri rapporti di lavoro. Questa specificità è stata riconosciuta dal legislatore in questi anni. Penso alle circolari dell’ex Ministro del Lavoro Cesare Damiano e soprattutto alla riforma Fornero del mercato del lavoro che ha specificatamente riconosciuto la legittimità del contratto a progetto per il settore outbound, subordinandolo tuttavia, ad un accordo collettivo nazionale tra le parti sociali per la sua regolamentazione.
Nel 2013 avete firmato un innovativo contratto nazionale con l’adesione di tutti i sindacati, a seguito, appunto del vincolo posto dalla Riforma Fornero. Quali sono i punti salienti di questo accordo e quali garanzie ha introdotto per i collaboratori?
Si tratta di un accordo che ha introdotto diverse tutele per i collaboratori. Segnalo le principali. Dal punto di vista economico è stata introdotta una soglia minima retributiva e abbiamo agganciato la retribuzione oraria minima al secondo livello del CCNL delle Telecomunicazioni. La totale equiparazione segue un percorso graduale ed entrerà a regime nel 2018. Oggi è circa del 70 per cento. E’ stato istituito un ente bilaterale con lo scopo di erogare prestazioni integrative di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro e di sostegno alla maternità finanziato attraverso una contribuzione aggiuntiva dello 0,15% che sarà operativo a breve. Altro istituto importante previsto sono le liste di prelazione. Si tratta di liste che vincolano l’azienda a “pescare” in questo bacino preferenziale i collaboratori che hanno già lavorato per essa, in modo da evitare un’eccessiva rotazione e garantire una maggiore continuità lavorativa. Questo accordo ha ottenuti apprezzamenti sia a livello sindacale che politico è rappresenta un importante punto di equilibro tra le esigenze dei lavoratori e quelle delle imprese.
Qual è lo stato di salute del settore? Avete risentito anche voi della crisi?
Il nostro settore ha un valore di mercato di circa 1 miliardo e 190 milioni di euro, di cui 875 milioni per attività inbound e 315 milioni in outbound. Rispetto al 2013 siamo cresciuti del 2,1%, con un miglior risultato dell’attività inbound. Inoltre, circa il 20% (60 milioni di euro) dell’attività outbound è stato fatturato in paesi cosiddetti offshore. E’ un settore che comunque ha risentito delle difficoltà di questo periodo, seppur per motivi differenti per entrambi gli ambiti di attività. La crisi ha “morsicato” in due direzioni. Nella possibilità di spesa dei committenti che hanno contenuto i costi in questi anni. E per il settore outbound, invece, c’è stato un progressivo aumento delle difficoltà nelle vendite. Il combinato di questi due fattori negativi ci ha messo difficoltà. Dal punto di vista, però, delle potenzialità generale del nostro mercato ci sono ancora margini di crescita, se pensiamo anche a quello che avviene in altri Paesi europei simili all’Italia che hanno numeri decisamente maggiori.
Cosa accadrebbe se il Governo dovesse andare dritto per la sua strada e confermasse la cancellazione del contratto a progetto? Quali conseguenze ci sarebbero per i collaboratori e per le aziende del settore?
Le conseguenze immediate sarebbero sostanzialmente due. Da un lato, se ci obbligassero ad utilizzare forme contrattuali tipiche del lavoro dipendente con un conseguente aggravio di costi e di rigidità, moltissime aziende sarebbero costrette a spostare le attività produttive in outbound verso paesi offshore con condizioni di lavoro più favorevoli. Dall’altro, invece, il rischio è che l’intero settore subisca un forte ridimensionamento e che le risorse economiche che oggi vengono investite sulle attività di outbound verrebbero dirottate verso altri strumenti promozionali e di vendita più convenienti per le aziende clienti. In altre parole, questo settore andrebbe fuori mercato per un aggravio dei costi sul lavoro. Le conseguenze sul piano occupazionale sarebbero evidenti tenuto conto, inoltre, che noi occupiamo una fascia lavorativa “debole”. Per queste ragioni abbiamo scritto una lettera al Ministro del Lavoro e ai presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato. La questione l’abbiamo posta e adesso attendiamo che la fase di definizione dei decreti attuativi tenga conto della nostra specificità.
C’è una possibile alternativa? Per esempio, il Presidente di Assirm, l’associazione che raggruppa gli istituti di ricerca di mercato, in una recente intervista rilasciata a KONGnews ha aperto alla possibilità del contratto a chiamata. Oppure si potrebbe ricorrere alla partita Iva. Insomma, c’è un’alternativa valida al contratto a progetto per regolamentare le collaborazioni in outbound?
Il contratto a progetto è lo strumento contrattuale ideale per regolamentare i rapporti di lavoro nel nostro ambito. Il punto che vorrei sottolineare è che il nostro è davvero un lavoro tipicamente parasubordinato. Oltre alle tutele previste già nel contratto a progetto per legge, come la contribuzione pensionistica che verrà equiparata a quella del lavoro dipendente e alle possibilità di accesso all’indennità di disoccupazione (che sembra verranno potenziate), si è aggiunta come abbiamo visto una proficua contrattazione collettiva obbligatoria che ha introdotto importanti tutele aggiuntive. Se dovessimo passare alla partita Iva si tratterebbe di un forte passo indietro soprattutto per i collaboratori che in quel caso vedrebbero peggiorare la loro condizione lavorativa e non certo migliorare. E per noi ci sarebbe un aumento della complessità gestionale. Ovviamente, vista la natura “autonoma” dell’attività in outbound, diamo per scontato che non si può pensare che questi lavoratori vengano inquadrati nel nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act. Rimane la strada del contratto di agenzia, ossia del tipico contratto di lavoro degli agenti di commercio, la figura professionale più prossima a quella dei collaboratori in outbound, ma anche qui vedo più complicazioni che soluzioni.
Ribadiamo, quindi, che la nostra principale rivendicazione è che si riconosca la specificità del nostro settore e che in un provvedimento, seppur di conferma dell’abolizione del contratto a progetto, si prevedano delle eccezioni, tra cui il settore delle attività di call center in outbound e che si ribadisca il vincolo dell’accordo sindacale per la loro regolazione.