Il sistema dei buoni pasto è al collasso e se non ci sarà un’inversione di rotta immediata, quasi tre milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa con i ticket. Più che un grido d’allarme è una forte presa di posizione quella lanciata dalle associazioni di categoria che rappresentano le imprese della distribuzione e della ristorazione del nostro Paese – Fipe Confcommercio, Federdistribuzione, Ancc Coop, Confesercenti, Fida e Ancd Conad – per la prima volta riunite in un tavolo di lavoro congiunto: senza correttivi urgenti, a partire dalla revisione del codice degli appalti nella pubblica amministrazione, la stagione dei buoni pasto potrebbe essere destinata a concludersi presto.
A fare il punto della situazione e illustrare le iniziative in programma, sono stati i rappresentanti delle sei categorie nel corso di una conferenza stampa: Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe, Donatella Prampolini, presidente Fida, Luca Bernareggi, presidente Ancc Coop, Corrado Luca Bianca, Coordinatore nazionale FiepeT Confesercenti, Sergio Imolesi, segretario generale Ancd Conad e Claudio Gradara, presidente Federdistribuzione. L’attuale sistema – spiega Confcommercio in una nota – genera una tassa occulta del 30% sul valore di ogni buono pasto a carico degli esercenti.
Le cifre perse. In pratica, tra commissioni alle società emittitrici e oneri finanziari, i bar, i ristoranti, i supermercati e i centri commerciali perdono 3mila euro ogni 10mila euro di buoni pasto incassati che accettano. E’ l’effetto delle gare bandite da Consip per la fornitura del servizio alla pubblica amministrazione, che hanno spinto le commissioni al di sopra del 20%. Ecco perchè i vertici delle sei associazioni di categoria hanno deciso di scrivere al ministro dello Sviluppo Economico e al ministro del Lavoro, chiedendo di rivedere l’intero sistema con l’obiettivo di garantire il rispetto del valore nominale dei buoni pasto lungo tutta la filiera.
“E’ evidente – sottolineano le associazioni – che lo Stato non può far pagare la propria spending review alle nostre imprese. Così facendo si mette a rischio un sistema che dà un servizio importante a 3 milioni di lavoratori ogni giorno e si mettono in ginocchio decine di migliaia di imprese. Nessuno può dimenticare che il buono pasto è un servizio che già gode di agevolazioni importanti in termini di decontribuzione e defiscalizzazione”.
I lavoratori pranzano fuori casa. E’ stato anche deciso di avviare un’azione di responsabilità nei confronti di Consip per aver ignorato gli allarmi sulla vicenda Qui!Group che dopo essere stata dichiarata fallita a settembre 2018 ha lasciato 325 milioni di debiti di cui circa 200 milioni verso gli esercizi convenzionati. Ogni giorno – precisa Confcommercio – circa 10 milioni di lavoratori pranzano fuori casa. Di questi 2,8 milioni sono dotati di buoni pasto e il 64,7% li utilizza come prima forma di pagamento ogni volta che esce dall’ufficio. Si stima che nel 2019 siano stati emessi in Italia 500 milioni di buoni pasto, di cui 175 milioni acquistati dalle pubbliche amministrazioni. Ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono in bar, ristoranti, supermercati ed esercizi convenzionati 13 milioni di euro in buoni pasto.
La stazione appaltante per il servizio dei buoni pasto all’interno della pubblica amministrazione, Consip, – si legge nella nota – effettua le gare formalmente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma al massimo ribasso. Nel corso dell’ultima gara aggiudicata a fine 2018, i 15 lotti, dal valore complessivo di 1 miliardo di euro, sono stati assegnati con uno sconto medio del 20% e con picchi al di sopra del 22%. Uno schema identico a quello del 2016, quando il ribasso medio si è assestato attorno al 15%. Questo livello di sconti, una volta sdoganato dal pubblico, sta diventando di riferimento anche per le gare private.
Risultato: un esercente vende prodotti e servizi per valore di 8 euro ma ne incassa 6,18. Aggiungendo a queste commissioni altri oneri finanziari, su buoni pasto del valore di 10mila euro, – conclude Confcommercio – gli esercizi si vedono decurtare 3mila euro.