La pubblicazione della risoluzione n. 27/E del 15 aprile scorso da parte dell’Agenzia delle Entrate ha reso operativa la proroga del regime fiscale di vantaggio per i lavoratori impatriati previsto dalla legge di Bilancio del 2021. I continui interventi normativi su questo bonus fiscale e una prassi non sempre chiarificatrice hanno contribuito a ostacolare il percorso dei lavoratori e dei sostituti d’imposta, soprattutto nel capire a chi spetti il diritto ad ampliare per altri 5 anni il bonus fiscale che riduce l’imponibilità dei redditi fino al 90%. Dopo una articolata rassegna delle norme e dei provvedimenti fondamentali su questa agevolazione, si propone una lettura ragionata dei soggetti che possono effettivamente accedere a questa nuovo regime agevolativo, teso a far radicare nel nostro Paese i lavoratori che vi si sono trasferiti.
Ricostruzione normativa
La legge 30 dicembre 2010, n. 238, aveva previsto la concessione di incentivi fiscali attraverso una riduzione del reddito imponibile da lavoro dipendente, autonomo o d’impresa, avviato in Italia, in favore di cittadini dell’Unione Europea che, dopo avere risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia, avessero intrapreso un percorso di studi o di lavoro all’estero per almeno ventiquattro mesi, decidendo successivamente di trasferire la propria residenza e il proprio domicilio nel nostro Paese (c.d. contro-esodati). In particolare, le agevolazioni, indicate dall’articolo 3 della norma consentivano di far concorrere tali redditi alla formazione della base imponibile ai fini dell’Irpef nella misura ridotta del 20% per le lavoratrici e del 30% per i lavoratori (con disciplina attuativa dettata dal decreto ministeriale del MEF del 3 giugno 2011 e dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate del 4 maggio 2012, n. 14/E). Questi benefici fiscali, per effetto delle modifiche normative che si sono susseguite nel tempo, hanno trovato efficacia fino al periodo d’imposta 2017.
Tale regime (“a tempo”) è stato modificato dall’introduzione stabile di un nuovo incentivo fiscale per i lavoratori trasferitisi in Italia (da “cervelli rientrati” a “impatriati”) con il decreto legislativo n. 147/2015. Infatti, l’articolo 2 del D.Lgs. citato ha inteso disciplinare compiutamente la materia del rientro dei lavoratori all’estero, in particolare concedendo un’agevolazione fiscale temporanea a coloro che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti e impegnandosi a permanere nel nostro Paese per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato. Per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente e di lavoro autonomo nella prima versione della norma concorreva alla formazione del reddito complessivo Irpef al 50%, senza alcuna conseguenza però sull’imponibile previdenziale, che continuava a seguire le sue ordinarie regole di determinazione. Per i lavoratori dipendenti era inoltre necessario che l’attività lavorativa fosse svolta prevalentemente nel territorio italiano e, ai sensi del comma 1 dell’art. 16, presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato direttamente con la società residente o comunque con una società che direttamente o indirettamente ne avesse un legame di controllo. La norma richiedeva anche che i lavoratori ricoprissero ruoli direttivi oppure che fossero in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. Per i lavoratori autonomi beneficiari del bonus fiscale, invece, non si richiedeva la presenza di un rapporto di lavoro con un’impresa residente, né lo svolgimento di ruoli direttivi o il possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro anni successivi. Va ricordato come la stessa si estendesse, ai sensi del comma 2 dell’art. 16, anche ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all’Unione Europea, a condizione che siano in vigore convenzioni per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito su modello OCSE ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale. Tali beneficiari dovevano poi possedere un titolo di laurea, avere svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero un’attività continuativa di studio fuori dal Belpaese negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. Questa seconda platea (illustrata dal comma 2 della norma in esame) rimarrà inalterata anche dopo le novelle introdotte nel 2019 dal decreto “Crescita”.
Lo switch dal vecchio al nuovo regime agevolato
L’articolo 16, comma 4, prevedeva che i lavoratori rientrati in Italia col beneficio della parziale non concorrenza reddituale ai fini Irpef, prevista dalla L. 238/2010, se trasferiti in Italia entro il 31 dicembre 2015, avrebbero mantenuto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo il regime disposto dalla stessa legge, nei limiti e alle condizioni previsti dalla norma. In alternativa, questi potevano optare per il nuovo regime previsto dall’articolo 16 del D.Lgs. 147/2015. La circolare 23 maggio 2017 dell’Agenzia delle Entrate (§ 3.5) aveva poi chiarito che gli impatriati “optanti” avrebbero goduto della riduzione dell’imponibilità del reddito da lavoro dipendente, autonomo o d’impresa, per cinque periodi d’imposta, dunque dal 2016 e fino al 2020. Ma il provvedimento dell’Agenzia del 31 marzo 2017 aveva fissato al 2 maggio di quell’anno l’ultima data utile per comunicare al sostituto d’Imposta l’adesione al nuovo regime.
Su tale possibilità di opzione è poi intervenuto l’articolo 8-bis, comma 1, del decreto legge n. 148 del 2017, che ha precisato che l’esercizio dell’opzione ex art. 16. c. 4 avrebbe applicato il nuovo beneficio nel triennio 2017-2020 e non nel periodo d’imposta 2016, in cui si sarebbe applicata ancora la disciplina della L. n. 238 del 2010. La legge di Bilancio del 2017 (n. 232/2016) ha poi dovuto ulteriormente specificare che l’innalzamento al 50% della quota di reddito esente da Irpef si applica, per i periodi d’imposta dal 2017 al 2020, anche ai lavoratori dipendenti che, nell’anno 2016, hanno trasferito la residenza nel territorio dello Stato e ai percipienti che, sempre nel 2016, avevano esercitato l’opzione di switch del c. 4 dell’articolo 16. A (provare a) semplificare ulteriormente questo quadro di per sé non proprio cristallino, quattro mesi dopo il comma 7-bis del decreto legge n.50 del 2017, con una norma di interpretazione autentica, aveva esplicitato che i soggetti trasferiti in Italia entro il 31 dicembre 2015, che avevano poi optato per il regime agevolativo previsto per i lavoratori rimpatriati decadevano dal beneficio fiscale nel caso in cui la residenza in Italia non fosse stata mantenuta per almeno due anni d’imposta, con recupero dei benefici fruiti ed applicazione di sanzioni e interessi.
Il nuovo regime per impatriati
Con l’articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019 (cd. decreto “Crescita”) il regime fiscale degli impatriati è stato potenziato in due direzioni: con un notevole allargamento della platea sia al c.1 dell’art. 16 sia con la neutralizzazione del requisito formale dell’iscrizione all’AIRE, e con un potenziamento dell’incentivo, che può arrivare a una riduzione del 90% dell’imponibile fiscale per un massimo di 10 anni. Per prima cosa il D.L. n. 34/2019 specificava che i nuovi benefici per impatriati si sarebbero applicati per i soggetti che avessero trasferito la residenza fiscale in Italia a decorrere dall’anno 2020. Per questi lavoratori, l’agevolazione fiscale sui redditi di lavoro dipendente e assimiliati, di lavoro autonomo e d’impresa, si concretizzava in una riduzione minima dell’imponibile del 70% di tali redditi per 5 anni. L’ampliamento del bonus innalza, per il primo quinquennio, dal 50 al 70% la riduzione della non concorrenza fiscale dell’imponibile. Inoltre, il comma 2 introduceva un’estensione temporale del bonus per coloro che avessero trasferito la propria residenza in Italia dal 2020 raddoppiando la durata dell’agevolazione da 5 a 10 anni (con riduzione nel secondo quinquennio dell’imponibile al 50% del reddito di prodotto) a condizione che gli impatriati avessero almeno un figlio minorenne o a carico (anche in affido preadottivo) o fossero diventati proprietari di almeno una unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento o nei 12 mesi precedenti il medesimo.
Il caso dei contro esodati del 2019
Con l’articolo 13-ter, comma 1, del decreto legge n. 124 del 2019 è stato sostituito il comma 2 dell’articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019. Il nuovo tenore letterale della norma ha consentito l’applicazione della versione maggiorata ed estesa del bonus già dall’anno d’imposta 2019 a favore dei lavoratori che avessero trasferito la residenza fiscale in Italia dal 30 aprile 2019 e fino al 2 luglio dello stesso anno. Tale “sdoganamento” del bonus, tuttavia, è stato vincolato ad uno specifico accantonamento nella finanza pubblica: in particolare il comma 2 dell’articolo 13-ter ha individuato il “Fondo Controesodo” con una limitata dotazione finanziaria di 3 milioni di euro dal 2020, rimandando a un decreto del MEF (ad oggi non ancora pubblicato) per i criteri di accesso al fondo, consentito solo fino al suo esaurimento. Nonostante le istruzioni al modello della Certificazione Unica del 2020 illustrassero già, per i percipienti nell’anno 2019, la facoltà di avvalersi della versione estesa del bonus senza particolari dettagli, il MEF, nella risposta all’interrogazione parlamentare del 28 luglio 2020 chiariva che non erano state ancora diramate le istruzioni con apposito decreto dato che l’agevolazione rende difficile la previsione di spesa per effetto delle sue variabili. Sarà solo alla fine del 2020, con la circolare n. 33/E dell’Agenzia delle Entrate, che si chiarirà ai sostituti d’imposta che, nelle more dell’emanazione del decreto, i contro-esodati trasferitisi in Italia dal 30 aprile al 2 luglio 2019, potevano nel frattempo godere solo dell’agevolazione pre-decreto “Crescita” nella misura del 50% di riduzione dell’imponibile fiscale per un massimo di 5 anni.
L’opzione prevista dalla Legge di Bilancio 2021
L’art. 1, c. 50, della legge di Bilancio 2021 ha inserito nell’art. 5 del D.L. n. 34/2019 il c. 2-bis al fine di consentire l’applicazione della disposizione tesa ad incentivare il radicamento degli impatriati, anche a coloro che “che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”. Tale misura si applica ai soggetti “diversi da quelli indicati al comma 2 dell’art. 5”, vale a dire coloro che non rientrano nella categoria di contribuenti che può avere accesso alla nuova disciplina attraverso il c.d. “Fondo Controesodo”.
Nel dettaglio, la legge di Bilancio 2021 ha stabilito che, mediante l’esercizio di un’apposita opzione, possono fruire della agevolazione i lavoratori che:
a) sono stati iscritti all’AIRE ovvero sono cittadini di Stati membri dell’Unione Europea;
b) hanno trasferito la residenza fiscale in Italia prima del 2020;
c) già beneficiavano del regime impatriati alla data del 31 dicembre 2019.
Al contrario, l’opzione non può essere esercitata:
a) dai soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia a decorrere dal 30 aprile 2019;5
b) dagli sportivi professionisti di cui alla legge n. 91 del 1981.
Inoltre, si precisa che la proroga non è applicabile ai docenti e ricercatori di cui all’art. 44, D.L. n. 78/2010, in quanto trattasi di un distinto regime non richiamato espressamente dalla norma.
Ai sensi del citato comma 2-bis, art. 5, D.L. n. 34/2019, l’opzione si perfeziona con il pagamento di un importo pari al:
a) 10% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se in tale momento il lavoratore ha almeno un figlio minorenne (anche in affido preadottivo) o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia dopo il trasferimento, nei dodici mesi precedenti o entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito, senza applicazione di sanzioni;
b) 5% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se in tale momento il lavoratore ha almeno tre figli minorenni (anche in affido preadottivo) e diventa proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia dopo il trasferimento, nei dodici mesi precedenti o entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione, pena la restituzione del beneficio, senza applicazione di alcuna sanzione.
In entrambi i casi, l’unità immobiliare può essere acquistata sia direttamente dal lavoratore, sia dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà. Le modalità di esercizio dell’opzione sono state successivamente definite dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 marzo 2021, prot. n. 60353.
Il refuso nel provvedimento del 3 marzo 2021
Dalla lettura della disposizione del citato comma 2-bis per poter accedere alla proroga di 5 anni con una riduzione di imponibile fiscale del 50%, pagando un “ticket” pari al 10% dell’imponibile fiscale 2020, si deve possedere un requisito alternativo fra avere un figlio minorenne al momento dell’opzione oppure essere proprietario (o diventarlo) di un immobile; mentre per l’accesso alla proroga di 5 anni con la riduzione al 90% dell’imponibile fiscale si è tenuti a pagare un “ticket” pari al 5% possedendo però contemporaneamente i due requisiti relativi ai tre figli minorenni e alla proprietà o all’acquisto dell’immobile alle specifiche condizioni descritte nel paragrafo precedente. Se dal punto di vista letterale la disposizione è chiara, si segnala però il refuso contenuto nel provvedimento del 3 marzo 2021, dove nel caso di cui al comma 2-bis, lett. b), prima si utilizza la congiunzione corretta “e” 10 mentre successivamente in maniera errata si utilizza la “o”, creando ulteriori incertezze tra i contribuenti che stanno valutando l’esercizio dell’opzione in questione.
Le modalità di esercizio dell’opzione e i codici tributo della risoluzione del 15 aprile 2021
Secondo quanto previsto dal provvedimento del 3 marzo 2021:
• l’opzione è esercitata mediante il versamento in un’unica soluzione con mod. F24, senza la possibilità di avvalersi della compensazione prevista dall’articolo 17, D.Lgs. n. 241/1997;
• l’importo è versato entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione del regime di favore, i soggetti per cui tale periodo si è concluso il 31 dicembre 2020 effettuano il versamento entro 180 giorni dalla pubblicazione del provvedimento;
• i lavoratori dipendenti, per esercitare l’opzione, presentano, entro i predetti termini, una richiesta scritta al proprio datore di lavoro resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000.
Il sostituto d’imposta è tenuto ad operare le ritenute sulle somme e i valori imponibili corrisposti dal periodo di paga successivo al ricevimento della predetta richiesta del lavoratore. Nel caso dei lavoratori autonomi, l’opzione deve essere comunicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale è stato effettuato il versamento. La risoluzione n. 27/E del 15 aprile 2021, al fine di consentire il versamento degli importi per l’esercizio dell’opzione, tramite il mod. “F24 Versamenti con elementi identificativi” (F24 ELIDE), ha istituito i seguenti codici tributo:
• “1860” denominato “Importo dovuto (10 per cento) per l’adesione al regime agevolato di cui all’art. 5, co. 2-bis, lett. a), del D.L. n. 34 del 2019”;
• “1861” denominato “Importo dovuto (5 per cento) per l’adesione al regime agevolato di cui all’art. 5, co. 2-bis, lett. b), del D.L. n. 34 del 2019”.
Le criticità della proroga del bonus disposta dalla Legge di Bilancio del 2021
Prima il comma 2-bis e successivamente il provvedimento del 3 marzo 2021 hanno confermato il requisito di iscrizione all’AIRE per i cittadini italiani che vogliono godere della proroga introdotta dalla legge di Bilancio 2021.
A tal proposito si ricorda che l’art. 5, D.L. n. 34/2019 – che ha introdotto il comma 5-ter all’interno dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 – ha previsto che “I cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a)”.
Tale disposizione consente ai soggetti che non risultano iscritti all’AIRE (o che vi risultano iscritti per un periodo inferiore a quello richiesto per l’accesso al regime di favore) di comprovare il periodo di residenza all’estero sulla base delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, al fine di evitare che restino esclusi dall’agevolazione i contribuenti che, pur avendo effettivamente trasferito la propria residenza all’estero, non abbiano provveduto a cancellarsi dall’anagrafe nazionale della popolazione residente o vi abbiano provveduto tardivamente. D’altra parte, la stessa Corte di Cassazione a proposito del rapporto fra TUIR e Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, siglata tra Italia e Irlanda, aveva già affermato che le Convenzioni per il carattere di specialità del loro ambito di formazione, così come le altre norme internazionali frutto di intese bilaterali, devono prevalere sulle corrispondenti norme nazionali, riconoscendo una fonte di rango superiore nella norma che impone obblighi internazionali come previsto dal c. 1, art. 117 della Costituzione.
Seppur la disposizione semplificatrice di cui al comma 5-ter, introdotto all’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 dall’art. 5, D.L. n. 34/2019 alla lettera non si può applicare a quella distintamente contenuta al nuovo comma 2-bis, che rimane “confinato” all’interno del Decreto Crescita, si segnala la complicazione (re)introdotta in merito al formale possesso dei requisiti di iscrizione all’AIRE che, in materia di impatriati, sembrava esser stata superata dal citato comma 5-ter. Inoltre, viene creato un trattamento disomogeneo tra i soggetti che esercitano l’opzione introdotta dalla legge di Bilancio 2021 e coloro che accedono al regime di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015.
Un ultimo, e più generale, problema interpretativo riguarda la spettanza dell’accesso all’opzione di proroga dell’agevolazione per impatriati per un periodo massimo di ulteriori cinque anni per una specifica platea di lavoratori, che avevano in realtà già operato una precedente opzione. Ci si riferisce ai soggetti di cui all’art. 16, c. 4, del D.Lgs. n. 147/2015, già beneficiari della prima agevolazione fiscale della L. n. 238/2010 e trasferitisi entro il 2015, che avevano optato per il prolungamento dell’agevolazione applicando la precedente versione del bonus fiscale contenuto nel citato decreto legislativo.
Può essere utile richiamare il tenore letterale del nuovo c. 2-bis introdotto dalla legge di Bilancio del 2021, nel punto in cui designa i beneficiari della opzione per la proroga del regime fiscale di vantaggio: la norma parla di soggetti “che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”. Chi aveva beneficiato del primo incentivo della L. n. 238/2010 per poi aderire, ad esempio nel 2017, al nuovo regime grazie alla precedente opzione dell’art. 16 c. 4 del decreto “Internazionalizzazione”, risulterà possedere entrambi i requisiti di trasferimento della residenza prima del 2020 e, soprattutto, al 31.12.2019 godrà effettivamente del regime agevolativo del D.Lgs. n. 147/2015 (per effetto della prima opzione prevista dal c. 4 del medesimo articolo).
Non risulta dunque nessuna esclusione esplicita per questa platea di soggetti, nemmeno considerando le istruzioni del Direttore dell’Agenzia delle Entrate contenute nel provvedimento del 3 marzo 2021, mentre va rilevato come sia lo stesso legislatore a escludere tassativamente, all’art. 1, c. 50, della L. n. 178/2020, alcuni soggetti, ovvero gli sportivi professionisti, coloro che si erano trasferiti in Italia dal 30 aprile 2019 (già potenziali beneficiari del Fondo Controesodo), nonché i cittadini italiani non iscritti all’AIRE e i cittadini extracomunitari.
Sul versante della copertura del beneficio fiscale in esame, negli stessi atti parlamentari della manovra del 2021, in particolare nella relazione tecnica bollinata dalla Ragioneria dello Stato al D.d.l. Atto Senato n. 2054 del 2020, la stima degli effetti finanziari di tale opzione appare fondata sulla base del dato storicizzato di tutti i soggetti “che hanno beneficiato dell’agevolazione del D.Lgs. n. 147/2015 dal 2016 in avanti”, includendo così anche coloro che vi avevano avuto accesso per effetto della prima opzione prevista dal citato art. 16 c. 4. Per tali ragioni non si ravvisa alcun motivo di automatica esclusione di questi soggetti dalla platea dei beneficiari della nuova opzione di cui al c. 2-bis dell’art.16 del D.Lgs. n. 147/2015.
Approfondimento Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.