Il 1 di febbraio è diventata una data simbolo della protesta per il popolo birmano che due anni fa mise in atto il primo “Sciopero del Silenzio”, una forma di protesta collettiva contro la dittatura militare. Come due anni fa oggi, le strade delle grandi città si sono svuotate, i lavoratori sono rimasti a casa lasciando chiuse fabbriche, uffici, negozi e mercati. Una protesta silenziosa contro la giunta militare birmana, che da due anni dal fallito golpe continua nei suoi attacchi e persecuzioni contro gli oppositori politici e sindacali al regime militare.
La Fim Cisl – spiega il Segretario generale, Roberto Benaglia in una nota – è stata da sempre vicina al popolo Birmano e al sindacato che insieme a tanti militanti lotta per la libertà, la difesa e l’affermazione dei diritti dei lavoratori e la democrazia in clandestinità rischiando la vita ogni giorno.
Lo scorso anno come Fim abbiamo provveduto attraverso la vendita del nostro calendario sociale – insieme a “Italia Birmania Insieme” a raccogliere fondi per sostenere la Confederazione birmana CTUM (Confederation of Trade Unions Myanmar) che dalla clandestinità lotta contro la dittatura miliare e per la democrazia nel paese, un piccolo gesto di vicinanza e solidarietà che rinnoviamo oggi in questo secondo anniversario dello “sciopero silenzioso”.
Come Fim riteniamo sempre più necessario, – ha proseguito Benaglia – anche davanti al mutato scacchiere geopolitico che l’Unione Europea e le democrazie occidentali cambino atteggiamento verso la giunta militare. Per questo abbiamo sostenuto l’appello lanciato da “Italia Birmania Insieme” e continuiamo a sostenere e ad essere vicini al sindacato e al popolo birmano. L’Italia, la UE e la comunità internazionale non possono continuare a chiudere gli occhi di fronte all’orrore delle azioni criminali e genocide della giunta birmana, che oltre alle mattanze nei villaggi, gli incendi, la distruzione di oltre 40.000 abitazioni, la persecuzione di sindacalisti e militanti, il lavoro forzato persino nelle fabbriche, l’arresto, la tortura, gli stupri di migliaia di vittime innocenti – molte anche minorenni – ad oggi la giunta militare, ha giustiziato quattro dissidenti (altri 171 sono in attesa di essere giustiziati), ucciso oltre 2.700 civili inermi, condannato a 33 anni di carcere e al lavoro forzato il Presidente della Repubblica Win Myint e la Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e a decine di anni di carcere altri 13.800 dissidenti, mentre sono oltre 2 milioni i rifugiati interni che vivono nascosti in condizioni drammatiche.