«Sono 600 euro al mese garantiti, più vitto e alloggio. Ma non mi posso permettere un contratto». E’ quanto si sente dire Arina, rumena 52enne che ha staccato quel contatto telefonico da un palo della luce travestito da bacheca d’occasione. “Cercasi badante a tempo pieno, chiamare il seguente numero”, recita l’annuncio. E all’altro capo della cornetta l’informazione viene subito confermata: a parlare è Bruno, italiano di mezza età, gravato dall’urgenza di assistere l’anziana madre con risorse economiche centellinate.
Parallelamente alla popolazione anziana, è cresciuto in Italia l’esercito dei “care givers”, colf e badanti che si prendono cura di disabili, malati e persone non autosufficienti. Si stima che i circa due milioni e mezzo di 80enni registrati nel 2015, abbiano dato lavoro a più di due milioni di collaboratori domestici. Di questi, stando ai dati diffusi dall’Inps, solo 800mila sono stati impiegati più o meno regolarmente. Per Arina e per tutti gli altri, invece, si prospetta un futuro “sommerso” che pone come unica certezza quella del sacrificio.
«Mi rendo conto della situazione – prosegue Bruno al telefono – ma mia moglie lavora part time, ho un figlio all’università e proprio non posso fare di più». Una persona come tante, che fatica ad arrivare a fine mese e finisce irrimediabilmente nel novero degli “irregolari”. Perché le soluzioni prospettate sono diverse, ma non tutti possono valersene. A partire dalla facilità con cui è possibile reperire un collaboratore domestico: moltissime in Italia le società che dell’assistenza domiciliare hanno fatto un business, adeguando i servizi richiesti alla contrattualistica di settore.
Iniziando da “Assistenza Amica”, agenzia di intermediazione e selezione del personale, che offre un ampio ventaglio di servizi, garantendo la persona più adatta alle mansioni e alle tempistiche richieste. Si va dalle 1.390 € mensili per la disponibilità di un badante convivente, alle 1190 € per un forfait di sostegno orario diurno, fino a prevedere un costo orario di 15 € per l’assistenza ospedaliera vera e propria. L’agenzia badanti pensa a tutto: copertura di turni e sostituzioni, gestione contrattuale e burocratica, tutela delle famiglie in caso di contenzioso legale, possibilità di detrazione del 19% dal 730 dell’assistito o di chi se ne fa carico, e soprattutto nessun obbligo di vincolo temporale circa la durata del servizio. Al lavoratore, di contro, la società di somministrazione sottopone un’assunzione disciplinata dal CCNL di Lavoro Domestico, articolato nelle diverse retribuzioni che corrispondono all’effettivo impegno e formazione del singolo.
Stesso dicasi per “Cooperjob”, che cura tutti gli aspetti amministrativi del rapporto di lavoro, dalla busta paga al CUD annuale. La stessa natura dell’impiego svolto fa sì che questi contratti siano spesso a termine, anche trimestrali, sebbene si opti ultimamente anche per l’indeterminato, che può essere risolto da entrambe le parti con l’osservanza dei termini di preavviso (8-15 giorni, a seconda delle ore di servizio). Scompare la necessità del ricorso alla giusta causa – doverosa per porre fine ai contratti a termine – e si considera la sopravvenuta morte del datore di lavoro. Stando all’Inps, un indeterminato come l’agenzia badanti è più conveniente anche in termini di contribuzione, che nel caso dei collaboratori a termine è maggiorata. Tutto regolare anche per “Privatassistenza” e “Lineabadanti”, che programmano interventi mirati a carattere occasionale, emergenziale o più duraturo.
Soluzioni più che dignitose, dunque, che garantiscono serietà all’utenza e diritti ai lavoratori, in termini di retribuzione, malattie, tredicesima, ma richiedono comunque uno sforzo economico gravoso ad un nucleo familiare di medio reddito che si trovi ad accudire un anziano. E’ possibile aggirare i costi aggiuntivi delle agenzie badante recandosi direttamente presso gli sportelli badante dei CAF, che consentono al privato cittadino di assumere al proprio servizio una colf diventandone il diretto “datore di lavoro”, ma sempre entro i paletti del CCNL. L’alternativa meno onerosa da sostenere è quella dei voucher, pensati dal Governo proprio per disciplinare in maniera più flessibile l’assistenza domiciliare: si tratta di buoni del valore di 10 €, resi tracciabili, che tuttavia il soggetto può percepire fino a un tetto massimo di 7.000 € l’anno, proprio perché concepiti per le prestazioni occasionali. Va da sé che molte volte siano gli stessi lavoratori a voler optare per il “nero”, imbrigliati in un sistema che gli consentirebbe altrimenti di guadagnare legalmente una somma ben modesta durante l’arco dei 12 mesi.
Altre volte invece – raccontano i consulenti del lavoro – ci si trova davanti a persone senza scrupoli, intenzionate a pagare il collaboratore domestico a mezzo partita IVA. Diventa a questo punto discrezionalità del singolo quella di assecondare simili richieste, cercando un escamotage che consenta al badante di fingersi un libero professionista (a volte le inquadrano anche come estetiste) non soggetto a vincoli di subordinazione, e contravvenendo in ogni caso alla normativa che esclude la categoria da questa particolare tipologia di pagamento. Una forma retributiva peraltro assurda, penalizzata da una tassazione che fagociterebbe il già esiguo stipendio in questione. Diverso l’esempio di Eureka, cooperativa sociale romana dedita al superamento delle fragilità in senso lato. Dal supporto ai minori disagiati all’assistenza domiciliare per anziani e malati, fino ai servizi semiresidenziali finalizzati alla risocializzazione di soggetti deboli, fornisce prestazioni gratuite alle persone meno abbienti, o che prevedano una piccola quota di compartecipazione a seconda del reddito personale, sempre di bassa fascia.
Tornando al signor Bruno, non è il suo caso: appartiene a quello che lo Stato italiano definisce ancora il “ceto medio”, perché proprietario dell’immobile in cui vive. L’ISEE non fa sconti né al lavoro saltuario di sua moglie, né alle rate universitarie del figlio. Impossibilitato a corrispondere i 1.390 € mensili della retta di “Assistenza Amica”, ne propone ad Arina 600, comprensivi di vitto e alloggio. Tradotto: un impiego sfibrante, 24 ore su 24, solo doveri e nessun diritto. Arina, suo malgrado, accetta.
3 commenti
Questo articolo non è veritiero Assistenza Amica prende le badanti a Partita IVA ad euro 1.000,00 al mese e poi la badante stessa l’anno successivo deve pagarsi tasse e contributi se le restano 600,00 euro al mese è tanto
Assistenza Amica apre la partita IVA alle badanti e retribuisce a 900€al mese a cui devono essere detratte le tasse . Circa 300€ al mese. Quindi si lavora x 600€mensili 12 ore al giorno. E l’Ispettorato non fa niente .
Non se ne può più…chi ha ragione o torto boh…solo che una badante costa moltissimo specialmente per chi ha una pensione al minimo come mio zio celibe e senza figli. In 12anni ne ho viste di tutti i colori…nessuna che fa il proprio dovere e comunque tra stipendio, contributi, TFR, ferie, 13ma, vitto e alloggio, tenuta contabilità e sostituzione durante le ferie altro che 1390euro…mio zio prende 1170 euro mensili, è senza casa (noi nipoti gli abbiamo lasciato quella dei nostri genitori in comodato gratuito). È diventato impossibile mantenerlo a casa, per farlo vivere nel suo ambiente. Ditemi come si può fare perché è veramente tragica la situazione. La generazione dei nostri figli è la generazione dello stipendio a poco più di 1000 euro e con quel poco devono anche pagarsi la gestione di un’automobile, vitto e alloggio e se vanno via da casa anche un affitto…quindi penso che una badante che prende 1000 euro pulite non debba proprio lamentarsi!!! E le ore che fanno sono inferiori alle 40 della fabbrica