Sembra proprio che i sindacati della scuola scelgano apposta le battaglie da combattere pescandole fra le più dannose per la categoria che rappresentano, tanto che viene da domandarsi se siano animati da un recondito desiderio di auto flagellazione più che dalla volontà di tutelare i diritti dei lavoratori del comparto (come dimenticare il curioso exploit della CISL contro la maestra di Prato, rea di aver elargito formazione all’aperto ai bambini mettendo in difficoltà gli altri colleghi che non lo facevano?).
E così anche l’ultima campagna di lotta a mezzo stampa lanciata dal sindacato scolastico risulta del tutto errata, e questa volta non solo perché priva di qualunque fondamento nel merito ma anche per la scelta della tempistica, evidentemente sbagliata, che la rende ancor più odiosa a noi napoletani costretti a confrontarci con gli effetti bloccanti di continui allarmi meteo proclamati dal sindaco con una frequenza indegna di una città moderna.
Facciamo un passo indietro: secondo il sindacato – a parlare dalle pagine del Il Mattino del 10 dicembre è Maddalena Gissi, Segretario della CISL Scuola – in caso di maltempo il personale docente non sarebbe tenuto a prestare attività con modalità a distanza, per il motivo che tale ipotesi non rientra fra quelle per cui la legge ed il contratto (collettivo nazionale) consentono l’attivazione della didattica telematica, al punto da dire che (i) i docenti non sono tenuti a rendere la prestazione in forza dell’art. 1256 del codice civile e (ii) che qualora la rendessero, nella malaugurata ipotesi in cui si infortunassero, non sarebbero coperti da infortuni perché “il giorno dell’allerta meteo è come se fosse domenica”.
Prima di tutto, l’art. 1256 del codice civile non c’entra niente ed è stato chiamato in causa a sproposito: nel caso specifico il concetto di “impossibilità della prestazione” cui la norma codicistica si riferisce è del tutto fuori contesto, dal momento che al sindacato è sfuggito – e ciò è grave tenendo conto il caos generato – che il quadro attuale è governato dalle norme emergenziali che impongono la didattica a distanza nei modi e nei tempi delle leggi dello stato e di quelle locali (ndr. regionali e comunali), cui è demandato un potere integrativo per fini di tutela della pubblica salute.
Ciò significa che, fino al termine dell’emergenza, maltempo o non maltempo, la didattica a distanza va resa, con buona pace del sindacato e di quella parte – per fortuna largamente inferiore – del corpo docente che ritiene di non dover garantire la formazione, che pure vale la pena ricordare è un diritto costituzionalmente garantito e, a tacer d’altro, uno dei servizi pubblici essenziali di livello primario nel nostro paese – quantomeno sulla carta!.
Un problema di compatibilità fra regole contrattuali vigenti e didattica a distanza nel caso di maltempo potrebbe, al più, porsi in regime di normalità, ma ciò è purtroppo lungi dall’accadere e quindi la domanda è: che senso ha sollevare il problema adesso? Per quale scopo? E soprattutto, perché il sindacato non ha saputo considerare gli effetti della propria presa di posizione sulla cittadinanza, stremata com’è da mesi di clausura, cassa integrazione (per chi l’ha ricevuta) e bambini da gestire tra una riunione in smartworking e un’altra?
Se l’obiettivo è aprire un tema da affrontare nella negoziazione contrattuale nazionale con finalità rivendicative di tipo economico, allora il sindacato della scuola ha sbagliato la sua strategia perché nelle relazioni sindacali la trattativa, che si compone anche di tattiche, ha un suo senso del tempo, e qui l’insensibilità sulla tempistica (il caso della maestra di Prato docet) restituisce l’immagine di un sindacato lunare, lontano dalla realtà, preso a combattere battaglie sbagliate con armi improprie, con il rischio di non venire né ascoltato, né capito.
V’è di più. Superata la prima osservazione/giustificazione della CISL incontriamo la seconda che sconta, se possibile, una duplice debolezza giuridica ancor più forte. Ed infatti, in primo luogo, equiparare la giornata di maltempo alla domenica è un esercizio dialettico incomprensibile in quanto sganciato dalle norme di legge, dal momento che è la legge a qualificare la domenica come giornata festiva facendo da ciò discendere determinate conseguenze in materia di rapporti di lavoro anche di pubblico impiego.
Sbagliata e fuorviante è poi la considerazione ulteriore secondo cui un docente non sarebbe coperto nel caso di infortunio: a tacer del fatto che la carenza di tenuta dell’impianto elaborato dal sindacato rende la prestazione obbligatoria, con ogni conseguenza in termini di efficacia della copertura assicurativa, vi sarebbe comunque da dire che qualora il pubblico dipendente svolgesse la prestazione per ordine della datrice di lavoro, sarebbe ovviamente coperto dalle tutele assicurative del caso, non vertendosi nell’ipotesi in cui è il docente che ha deciso in autonomia di svolgere la lezione senza il consenso dell’istituzione scolastica (sic!).
Perciò attenzione ai docenti che decidessero di omettere la prestazione sulla scorta delle posizioni sindacali: l’esercizio del diritto di sciopero solleva il singolo da responsabilità disciplinari (se esercitato legittimamente), ma ciò non vale nel caso in cui sia il singolo a decidere di non lavorare sollevando una “eccezione di inadempimento”, che nel caso di specie ha poche o nulle possibilità di tenuta.
A cura di Alessandro Paone, avvocato giuslavorista, LabLaw Studio Legale