Il problema è che ci siamo accorti tardi della sua importanza e non nego che nell’approcciarsi a questa realtà ci siano alcune difficoltà culturali e linguistiche (tanto che questo mi porta a insegnare ai manager cos’è la Cina e ai sinologi cos’è l’economia), ma senza dubbio è il Paese che in questo momento continua a trainare maggiormente il mercato, è meno lontano che in passato ed è diventato più accessibile”.
È con Romeo Orlandi, Presidente Comitato Scientifico di Osservatorio Asia, che parliamo delle opportunità di lavoro in Cina per gli italiani. Orlandi si sta preparando per intervenire a un convegno (che si è tenuto lo scorso 23 ottobre a Roma al Ministero degli Esteri) sul Myanmar come nuova frontiera asiatica per le aziende italiane, ma riesce ugualmente a trovare qualche minuto per rispondere alle nostre domande.
Osservatorio Asia, in collaborazione con il mondo accademico e imprenditoriale, si occupa di analizzare i rapporti economici tra l’Italia e l’Asia e di organizzare attività, quali convegni, ricerche, corsi di formazione, per favorirli: ogni giorno riceve una moltitudine di richieste di giovani che vorrebbero partire per la Cina.
“La tendenza verso cui ci si sta indirizzando è sì di andare a lavorare in Cina, ma in un’azienda cinese, con i cinesi e per i cinesi – spiega Orlandi – Se è vero infatti che continua a esistere il modello di business dell’azienda italiana che sposta qui la sua produzione, è anche vero che questo sta cambiando. La Cina infatti avrà sempre meno la funzione di “fabbrica del mondo”: mentre finora la merce prodotta dai cinesi era destinata ad altri Paesi, ora esiste un mercato di manufatti cinesi destinati ai cinesi con caratteristiche, anche comunicative, create e pensate appositamente per loro”. Cosa comporta questo? Comporta che si allarghi il ventaglio di opportunità di lavoro in Cina per gli italiani: “Non si avrà più solo bisogno della classica figura del manager direzionale, ma anche di una serie di figure di livello medio, i cosiddetti local-plus, nei settori più disparati: tecnici, contabili, persino cuochi perché no”.
E a proposito di questo nuovo mercato di consumatori cinesi scopriamo di più parlando con Roberta Pozzi, 30 anni, che si è trasferita in Cina dall’Italia un anno e otto mesi fa in cerca di nuove esperienze (di vita e professionali). Il lavoro l’ha trovato dopo tre mesi che era arrivata e la lingua la sta imparando giorno dopo giorno: “Sono impiegata full time in Tee Hee Asia, un’agenzia di marketing e advertising di proprietà italiana e inglese ma con il 70% di Dipendenti cinesi. Qui mi occupo di consulenze di marketing strategico per aziende estere che hanno necessità di capire, in Cina, il mercato, i trend, i consumatori”. Ci racconta che gli stipendi per gli italiani sono più alti che in Italia (soprattutto quelli dei designer), ma anche che a Shanghai gli affitti sono costosi così come condurre uno stile di vita all’occidentale, ma “basta andare in un ristorante cinese e con cinque euro ti servono un pranzo di natale”.
Da dove iniziare a trovare lavoro? Noi abbiamo individuato alcuni siti che recano diversi annunci, da quello della Camera di Commercio Italiana in Cina (www.cameraitacina.com) a quello dell’Ice (www.ice.gov.it) a Italychina-jobs.org, un servizio della Fondazione Italia Cina. Il consiglio di Roberta è quello invece di “concentrarsi sulle città emergenti dove il mercato è sicuramente più libero di quello di Shanghai o Canton”. In effetti, dei 9.000 giovani italiani che vivono in Cina, la maggior parte è concentrata a Shanghai dove lo scorso marzo si è costituita l’Associazione Giovani Italiani in Cina che riunisce gli expat italiani con l’intento di favorirne l’incontro, il dialogo, il confronto tra loro, di promuovere la lingua e la cultura italiana, nonché i valori costituzionali dell’Europa. “Immagini il tuo futuro in Italia?” è l’ultima domanda che facciamo a Roberta: “Assolutamente sì” – ci risponde – “Spero solo non sarà troppo difficile trovare lavoro anche a casa…”