“Il digitale avrà un ruolo cruciale per la competitività delle aziende e del settore del turismo nell’epoca post pandemica. Ci troviamo di fronte a nuovi modelli di business e gli investimenti del PNRR devono essere usati anche in questa direzione. Il settore produce il 7% del PIL e occupa circa il 6% dei lavoratori italiani; considerando anche gli effetti indiretti, ovvero quelli generati negli altri comparti produttivi, il suo peso sale al 13% in termini di PIL e al 14% in termini di occupazione”. Lo dichiara Orlando Taddeo, CEO di Mexedia (www.mexedia.com), la tech company quotata in Francia sul listino su Euronext Growth Paris diventata da maggio Società Benefit, nel presentare il report “Le rotte digitali del turismo” dell’Osservatorio sulla Digitalizzazione di Mexedia. Il report sarà presentato all’Arsenale di Venezia domani 8 luglio in occasione della premiazione del “Marina Militare Nastro Rosa Tour”, competizione velica nella quale Mexedia è protagonista con un suo team. All’evento sarà presente anche il Ministro del Turismo Massimo Garavaglia.
“L’emergenza sanitaria legata alla pandemia – spiega Taddeo – ha spinto gli investimenti in digitalizzazione da parte delle imprese turistiche. Ne è derivata, secondo l’ISTAT, una forte crescita delle comunicazioni con i clienti tramite il sito web aziendale (la quota di imprese che lo utilizzano è passata dal 45,3%, pre-Covid, al 50,8%), o i canali social (dal 45% al 54,7%), nonché ad un ampliamento dei canali digitali di commercializzazione.
Un forte incremento si è avuto, infatti, per le attività di delivery, gestite direttamente dall’azienda: prima della pandemia erano realizzate dal 10,9% delle imprese turistiche, a fine 2020 avevano raggiunto il 25,9%. Il primo canale digitale di vendita si conferma la comunicazione diretta tramite email, Facebook o altri social, utilizzata dal 30,4% delle imprese (il 22% le utilizzava già prima della pandemia). Significativa anche la crescita, che emerge dai dati dell’Istat, delle vendite tramite siti web, del cashless e dell’uso di piattaforme digitali.
In particolare, nell’indagine ISTAT su “Le imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid 19” pubblicata a febbraio, emerge che le vendite via web sono aumentate oltre le previsioni più ottimistiche, anche per il settore turistico, a fine 2021. Ciò avvalora due tendenze: la prima riguarda il diverso comportamento dei consumatori/viaggiatori – rispetto a prima della pandemia, che privilegiano adesso gestire a distanza i contatti e gli acquisti di prodotti e servizi; la seconda, invece, riguarda la capacità delle imprese di adeguarsi a questa nuova domanda.”
Secondo l’analisi dell’Osservatorio sulla Digitalizzazione di Mexedia partendo dai dati Istat “il progressivo allentamento dei limiti posti dall’emergenza sanitaria alle attività commerciali e lavorative e la crescente fiducia verso una ripresa dell’economia hanno influenzato nel 2021 l’utilizzo di tecnologie digitali. Osservando la quota di vendite realizzate tramite canali web nel periodo 2019-2021 si nota come, sulla base dei dati Istat pubblicati a fine 2020, la forte diffusione delle vendite online nei settori più direttamente interessati dagli effetti del distanziamento sociale si sia riflessa anche a livello aggregato. Tra il 2019 e il 2020 si sono registrati incrementi delle vendite dirette mediante il sito web proprietario (la quota è passata dal 5,8% al 6,3% del fatturato totale), delle vendite tramite comunicazioni dirette online (e-mail, moduli online, social media, ecc., dal 7,1% al 7,4%) e delle vendite tramite piattaforme digitali (dallo 0,9% all’1,0%)”.
“Quello che emerge dall’analisi dei dati dell’ISTAT – spiega Taddeo – svolta tra le attività economiche che utilizzano più intensamente i singoli canali di vendita web, è che le imprese turistiche alla fine del 2021 avevano avuto prestazioni mediamente migliori rispetto alla media delle altre imprese. In particolare, queste ultime sono caratterizzate da quote sul totale di fatturato realizzato tramite sito web che nel 2021 hanno raggiunto un range compreso tra il 5% e il 15%; unica eccezione è il settore turistico dove si è toccato il 35%. Per quest’ultimo comparto l’incremento di vendite tramite sito web è stato di 10,9 punti percentuali nel 2021 (da 24,1% a 35,0%), assai significativo nonostante gli effetti della crisi.
È evidente che l’esperienza della pandemia potrà favorire l’emergere di nuove nicchie e segmenti di mercato e una maggiore attenzione ai protocolli di sicurezza e alle esperienze di turismo senza contatto, per le quali il digitale sarà indispensabile. Nuove tendenze nei comportamenti dei viaggiatori determineranno conseguenze significative anche sull’offerta turistica, destinata a un cambiamento strutturale. Si aprono quindi nuove sfide per il settore, ma anche opportunità per incoraggiare l’innovazione, guidare nuovi modelli di business, esplorare nuove nicchie e nuovi mercati, aprire nuove destinazioni e passare a modelli di sviluppo turistico più sostenibili e resilienti.
In prospettiva, le tendenze che vanno emergendo anche alla luce dei cambiamenti in corso nei comportamenti dei viaggiatori, spingono le aziende a costruire una strategia che risulti efficace anche nel lungo periodo. Tra le strategie, quella digitale ricopre un ruolo cruciale perché grazie ad essa, si possono sfruttare, per esempio, anche le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale o dall’utilizzo dei big data, che consentono di raccogliere e analizzare in tempi rapidi grandi volumi di dati provenienti da più fonti (internet, social network, app), superando i limiti dell’informazione statistica tradizionale su cui ancora si basano le analisi geografiche. Altre tecnologie, come la realtà aumentata, trovano già una limitata applicazione nel settore turistico ma il loro utilizzo può essere ampliato. La realtà aumentata trova applicazione nella comunicazione e nella fruizione dei beni culturali, grazie soprattutto alla diffusione delle tecnologie mobile. Sono ormai numerose le esperienze di utilizzo delle tecnologie digitali nella fruizione turistica del patrimonio culturale, nelle città, nei musei e nei siti archeologici.”
Il turismo: settore cruciale per l’Italia
“Il turismo – continua Taddeo – svolge un ruolo centrale in Italia. Ha un peso determinante nell’economia italiana, non solo in termini di valore aggiunto prodotto ma anche per il forte impatto occupazionale, per le connessioni con gli altri settori produttivi e per il legame con le economie locali. Inoltre, i flussi turistici alimentano gli scambi con l’estero, in termini di beni, servizi e investimenti diretti. L’insieme dei settori che sono toccati dalla domanda turistica genera circa 210 miliardi di euro di valore aggiunto e sono circa 1 milione le imprese che vi operano, con una netta prevalenza di unità di piccole dimensioni da quanto emerge dai dati del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’ISTAT. Anche in termini occupazionali, l’impatto generato dal settore turistico produce un effetto significativo nei settori indirettamente collegati al comparto stesso. Secondo alcune stime del Centro Studi di Confindustria nel Rapporto Scenari Economici di aprile 2021, infatti, per ogni quattro posti aggiuntivi creati nel settore del turismo se ne genera uno in più nell’industria.”
L’Italia, come sottolineato nel Report, è il primo paese al mondo – insieme alla Cina – per numero di siti classificati dall’Unesco nella lista del patrimonio culturale mondiale (55), davanti a Spagna (48), Germania (46) e Francia (45). Il paese, inoltre, si caratterizza per una diffusione territoriale dell’offerta museale maggiore rispetto alla gran parte degli altri paesi europei: vi sono 1,7 siti ogni 100 Kmq ed oltre il 30% dei propri comuni è dotato di almeno un museo o un’istituzione similare.
“Nelle statistiche internazionali sulla competitività prodotte dalla World Bank – continua Taddeo – l’Italia si posiziona all’8° posto (su 136 paesi) nel ranking mondiale sulla competitività nel settore del turismo. A fronte di alcune posizioni di vertice in alcune voci (risorse culturali e risorse naturali), l’Italia mostra segnali di bassa competitività in altre che dipendono direttamente dalle politiche per il settore: sulle infrastrutture di trasporto, un fattore cruciale per il successo di una destinazione turistica, l’Italia occupa il 22° posto; nell’attività di governo del turismo e di promozione dell’immagine del nostro Paese nel mondo (Priorità del settore) è al 75° posto; nella spesa pubblica per il settore turistico si posiziona a metà classifica (61°).
PNRR e turismo
“Il PNRR – dichiara Taddeo – ha messo a disposizione per il turismo 2,4 miliardi di euro, di cui circa 1,78 miliardi di euro per la competitività delle imprese turistiche, specialmente per accompagnare la trasformazione del settore turistico italiano rendendolo più competitivo grazie anche a una maggiore diffusione delle tecnologie digitali. Gli investimenti previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza hanno l’obiettivo di innalzare la capacità competitiva delle imprese e di promuovere un’offerta turistica sostenibile dal punto di vista ambientale, basata su innovazione e digitalizzazione dei servizi. Le azioni previste nel Piano riguardano, in particolare, il miglioramento delle strutture ricettive e dei servizi ad essi collegati, una maggiore fruibilità del patrimonio turistico, il sostegno al credito per le aziende del comparto turistico e incentivi fiscali a favore delle piccole e medie imprese del settore. Vista la complessità del settore turistico, che coinvolge diversi interlocutori istituzionali, è necessario avere un approccio integrato nella gestione delle necessità del settore turistico, che si realizzi attraverso il coinvolgimento del governo centrale e delle istituzioni locali insieme agli attori economici attivi nella filiera turistica. La definizione delle politiche strategiche per il settore dovrebbe, dunque, essere decisa in collaborazione tra attori pubblici e privati. Una ripresa sostenibile richiede un impegno per garantire migliori infrastrutture di collegamento, migliori servizi, una gestione razionale dei flussi turistici, una diversificazione dell’offerta turistica e lo sviluppo di competenze in materia di sostenibilità per gli operatori del settore.”
Gli effetti della pandemia sul digitale
Una delle principali conseguenze dell’emergenza sanitaria che accomuna tutto il sistema produttivo, pubblico e privato, è stata la forte accelerazione nell’utilizzo di tecnologie digitali. La crisi pandemica ha accelerato la trasformazione dei modelli di business in svariate direzioni: tecnologie digitali, sicurezza sanitaria, impatto ambientale, attenzione al territorio.
“In un contesto -spiega Taddeo- che si sta fortemente orientando verso una maggiore innovazione digitale, anche in considerazione della transizione ecologica che richiede un sistema economico più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, l’Italia risulta ancora in una posizione arretrata rispetto ai principali competitor. Nel ranking europeo costruito sulla base del DESI (Digital Economy and Society Index), un indicatore annuale prodotto dalla Commissione Europea che misura il livello di digitalizzazione degli Stati membri, l’Italia mostra un significativo ritardo, occupando il 20° posto su 27. Nonostante i progressi conseguiti rispetto al 2020, il gap in confronto con le principali economie europee resta molto ampio: il nostro Paese primeggia su Cipro, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria e Romania. Perché l’Italia è ancora indietro? Secondo la Commissione europea, tre fattori hanno inciso maggiormente su questo ritardo: il capitale umano, la connettività e la diffusione dei servizi pubblici digitali. Capire le principali ragioni che spiegano il ritardo italiano è cruciale perché ci offrono indicazioni sulla strada da seguire per modernizzare il nostro Paese e renderlo più competitivo, al pari con i Paesi più avanzati, in un contesto europeo e globale che sta velocemente cambiando.”
Per quanto riguarda il tema specifico della digitalizzazione nelle imprese, l’ISTAT nel report “Imprese e ICT – anno 2021”, diffuso a gennaio, ha fotografato la situazione delle PMI sul fronte digitale rilevando come l’80% delle imprese italiane con almeno 10 addetti si collochi ancora a un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ di adozione dell’ICT. Nell’area del commercio elettronico i progressi sono molto lenti: solo il 18% delle PMI ottiene dalle vendite on-line almeno l’1% del fatturato; è in arretramento l’adozione di software per la condivisione di informazioni tra funzioni aziendali diverse (Erp, Enterprise Resource Planning) passata dal 37% del 2017 al 32%, in controtendenza rispetto all’andamento della media Ue27 dove la quota invece è salita al 39%; dall’altra parte, però, importanti accelerazioni si sono avute nell’adozione di servizi cloud di livello intermedio o sofisticato (52% delle PMI) e nell’utilizzo di almeno due social media (27%; +10 punti percentuali rispetto al 2017).