L’Italia corre il rischio concreto di una crisi di fiducia come quella che ha interessato la Grecia nel 2015, ma molto dipenderà dalle decisioni della classe dirigente. È questo il preoccupante monito che Standard & Poor’s (S&P), una delle principali agenzie di rating al mondo, ha lanciato al nostro paese, nel report pubblicato il 26 luglio scorso e dedicato all’andamento del rating dei paesi dell’Eurozona.
Per S&P “l’Italia è l’unico Paese sovrano dell’Eurozona con outlook negativo”, ovvero con una previsione di rating negativa. Se infatti il rating è il giudizio espresso da un soggetto esterno sulla capacità di una società di pagare o meno i propri debiti, l’outlook altro non è che la previsione a medio e lungo termine di tale capacità. “Nei prossimi anni – si legge nel report di S&P – prevediamo un lento aumento del debito pubblico italiano, accompagnato da un’ulteriore riduzione della leva finanziaria nel settore privato”. Per il 2019, in particolare, si prevede che “l’economia ristagnerà prima di riprendersi l’anno prossimo (0,6%)”.
Dati preoccupanti, ma non da “crisi del debito pubblico” rassicura S&P. Si tratta però solo di una magra consolazione. Le sorti del nostro paese restano infatti appese ad un filo e il rischio Grecia 2015 si rivela tutt’altro che scongiurato: “in uno scenario alternativo – si legge nel report – in cui i policymaker perseguano soluzioni non ortodosse – come l’introduzione di una valuta parallela o di misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati UE – l’adesione dell’Italia all’area Euro potrebbe essere messa in discussione.” Le conseguenze di un simile scenario sarebbero tali da far ipotizzare in extremis anche “una nuova crisi di fiducia come quella avvenuta in Grecia nel giugno 2015”.
Le cause: “la crescita debole e l’incapacità dei policymaker di affrontarla”. S&P parla di un tasso di crescita dell’economia italiana dal 2010 ad oggi pari solo allo 0,6% contro il 10,6% stimato per l’intera area Euro e dovuto ad una sostanziale immobilità dell’economia italiana. L’agenzia di rating fa notare infatti come dal 2010 siano fortemente diminuiti i prestiti bancari e con essi la propensione all’investimento da parte del settore privato, rivolto sempre più spesso al risparmio. Dati questi, tra l’altro confermati anche dalle ultime ricerche nostrane, come il Check Up Mezzogiorno di Confindustria, che hanno permesso a S&P di trovare delle similitudini tra il contesto economico italiano e quello greco, soprattutto nelle “rigidità che caratterizzano il mercato del lavoro e il tessuto produttivo”, tali da frenare “l’ingresso di nuovi attori e gli investimenti, con un impatto negativo sulla crescita”.
La linea adottata dall’attuale governo in EU ha reso il nostro paese ancor meno affidabile agli occhi degli investitori. S&P ha ricordato infatti come in seguito alle elezioni del marzo 2018 l’attuale coalizione abbia frenato sul fronte delle riforme, iniziando invece a “contrastare la Commissione Europea nel suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione”, implicando “effetti di secondo piano sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario”. È quanto accaduto in Grecia e quanto potrebbe ripetersi in Italia, sebbene quest’ultima ricopri un ruolo ben più significativo nel contesto europeo, rappresentando il 15% del PIL totale dei 27 paesi.
Tempismo perfetto. L’allarme S&P arriva proprio mentre nell’esecutivo si rincorrono le proposte sull’imminente manovra economica. Da una parte il ministro degli Interni Matteo Salvini insiste con la Flat Tax, dall’altra i 5 Stelle promettono riduzione del cuneo fiscale e salario minimo. In definitiva, tutti sembrano promettere più soldi per i cittadini italiani, ma l’impresa resta quella di far quadrare i conti. In caso contrario, infatti, il costo da pagare rischierebbe di essere fin troppo alto.
Scritto da Maria Teresa Gasbarrone