Fare leva sulla bioeconomia per una ripartenza sostenibile, di cui le biotecnologie sono un insostituibile motore strategico; produrre cibo sempre più sano, affrontando il problema della diminuzione delle risorse e i cambiamenti climatici; incentivare una collaborazione tra chimica tradizionale e biochimica e tra pubblico e privato.
Il progetto. Di questo e di tanto altro si è parlato in occasione del terzo gruppo di lavoro, questa volta dedicato al tema della Bioeconomia, “Ripensare consumi e impronte sul mondo: anche in Italia la rivoluzione della bioeconomia”, terza tappa del più ampio percorso “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia” voluto da Assobiotec Federchimica. Il progetto prevede 4 diversi tavoli di lavoro, fra giugno e ottobre, e troverà una sua finalizzazione in un Manifesto, ma soprattutto in un Documento di Posizione con proposte operative per la crescita del settore, lo sviluppo delle imprese e il rilancio del Paese.
Il biotech rappresenta oggi un settore importantissimo che, secondo le stime dell’Ocse, nel 2030 avrà un peso enorme nell’economia mondiale: saranno, infatti, biotech l’80% dei prodotti farmaceutici, il 50% dei prodotti agricoli, il 35% dei prodotti chimici e industriali. Nonostante l’Italia sia sul podio per il numero di progetti di qualità nel settore delle biotecnologie, è importante interconnettere settori e attori, coinvolgendo, ad esempio, per quanto riguarda la filiera agroalimentare, gli agricoltori in prima persona, al fine di comprendere al meglio le sfide e fissare obiettivi su base scientifica.
Le collaborazioni. Per questo motivo, Assobiotec Federchimica sta lavorando insieme ai partecipanti del gruppo di lavoro alla creazione di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. La creazione di filiere e catene di valore a basso impatto, la collaborazione pubblico e privato per ottenere processi più efficienti, l’analisi delle criticità come la qualità dei prodotti, i costi e l’importanza di creare un dialogo tra chimica e biochimica sono solo alcune delle necessità emerse per creare una bioeconomia circolare di reale innovazione.
Al tavolo di lavoro dello scorso 14 settembre ne hanno parlato, tra gli altri, Luigi Capuzzi, Research & Development Director Novamont, Fabio Fava, Coordinatore del “Gruppo di Coordinamento nazionale per la Bioeconomia” presso il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (Cnbbsv) della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Professore ordinario di Biotecnologie industriali ed ambientali presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Bologna, Deborah Piovan, Portavoce Cibo per la mente, Mauro Provezza, Industrial director di Bayer CropScience, Filippo Servalli, Corporate Innovation & Research Manager di RadiciGroup, Elena Sgaravatti, Consiglio di Presidenza Assobiotec-Federchimica e CEO DemBiotech.
“Le biotecnologie rappresentano una leva di innovazione importantissima per la Salute del pianeta, centrale per il settore agricolo e industriale, in un’ottica che mette insieme sviluppo economico e tutela dell’ambiente – afferma Elena Sgaravatti, del Consiglio di Presidenza Assobiotec-Federchimica e Ceo DemBiotech – . Le biotecnologie industriali sono una tecnologia chiave per lo sviluppo economico attuale e futuro. Occorre, oggi più che mai, andare avanti con un piano d’azione che non prescinda dagli investimenti in ricerca e innovazione e che assegni alle biotecnologie il loro ruolo di vero e proprio motore di una bioeconomia circolare per una ripartenza sostenibile.
“L’emergenza Covid – evidenzia – ci ha insegnato quanto sia fondamentale incrementare la produzione nazionale e limitare sempre più le importazioni dagli altri Paesi. Dobbiamo sviluppare in questo senso strategie precise che facciano sì che, anche a livello culturale, vengano accettate alternative sostenibili dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale”.
“Tra le numerose sfide della società nel nostro tempo c’è sicuramente l’urgenza di produrre cibo in modo sostenibile, sia per l’economia che per l’ambiente – afferma Deborah Piovan, Portavoce di Cibo per la mente – L’innovazione è un fattore importante per raggiungere questo obiettivo ed è quindi necessario liberare le biotecnologie da vincoli normativi ormai obsoleti. Le paure vanno rispettate, ma affrontate, e le posizioni ideologizzate, abbandonate.”
La sperimentazione. “Siamo giunti ad un momento in cui è necessario rivedere il quadro normativo perché la sperimentazione, per esempio sulle varietà vegetali ottenute mediante biotecnologie, possa arrivare ad essere consentita direttamente in campo aperto. Le sperimentazioni, basate sulla variazioni di genoma nelle piante, sono spesso demonizzate dall’opinione pubblica perché rientrano nella categoria Ogm. Tuttavia, – aggiunge – l’innovazione derivante da queste sperimentazioni è spesso fondamentale per garantire la salvaguardia dei prodotti tipici, del Made in Italy e della biodiversità naturale, anche a fronte di sfide sempre più grandi come il cambiamento climatico”.
“Ritengo che sia arrivato il momento di dare una svolta all’agricoltura italiana, allineata da tempo ai principi dettati dall’Onu per lo sviluppo sostenibile e pronta al Green Deal Europeo – dichiara Mauro Provezza, Industrial director di Bayer CropScience – .Per tradurre la Scienza in Vita è necessario passare attraverso sostenibilità, innovazione e legittimazione sociale. Per questo c’è bisogno che i decisori politici passino dalla stagione delle strategie a quella della loro concreta implementazione, considerando l’alto livello di competenze e innovazione già disponibili e l’opportunità storica di rilevanti finanziamenti europei.
Le soluzioni. “Bisogna, per esempio, potenziare il piano nazionale per le biotecnologie sostenibili in agricoltura, riprendere ed estendere i piani e i progetti di ricerca, coinvolgendo pubblico e privato in una prospettiva di “Open Innovation” e di efficace trasferimento tecnologico oltre ad assicurare procedure tempestive di assegnazione fondi. Nel concreto, è necessario studiare, grazie alla biotecnologia di precisione e i big data, la storia delle singole piante per andare a rispolverare le conoscenze storiche delle stesse e di come hanno saputo reagire ai cambiamenti climatici. Lavorare per il futuro, – conclude – studiando il passato”.