Dopo mesi di chiusura e di buio totale, finalmente, lunedì scorso, 18 maggio, molti ristoranti, locali e bar hanno rialzato le saracinesche. Pur nell’incertezza, conseguente anche al breve preavviso con cui sono state rese note le nuove norme di sicurezza previste dal Decreto Rilancio, il settore – che rappresenta il 4% del totale Pil Italia e il 5% dei posti di lavoro – prova così a ripartire. Ma le paure sono tante: secondo uno studio condotto su 40mila punti vendita da Bain & Company – e riferito da Il Sole 24 Ore – la chiusura nei mesi di marzo e aprire ha già determinato una perdita di fatturato di 14 miliardi di euro: una cifra che, complici le misure restrittive introdotte per garantire la sicurezza di personale e clientela, potrebbe toccare i 30 miliardi a fine 2020. Ne abbiamo parlato con Matteo Musacci, presidente Gruppo Giovani e vicepresidente nazionale Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) Confcommercio.
Il 18 maggio è stato il giorno della riapertura, ma secondo un sondaggio Fipe il 30% degli imprenditori titolari di bar o ristoranti intervistati ha deciso di non riaprire. Il 12% perché non si sente rassicurato dalle condizioni attuali. Condivide questo senso di paura o pensa che fosse comunque necessaria questa riapertura? Rispetto molto la decisione degli imprenditori che hanno deciso di non riaprire perché non sicuri delle condizioni attuali, ognuno è libero di fare le proprie considerazioni. Dico questo anche perché ci sono situazioni che prescindono dall’economicità: mi metto ad esempio nei panni di chi è titolare di un locale, ma è affetto da una malattia immune, ovviamente anche io avrei deciso di non riaprire. In questa percentuale, c’è poi una parte che continua a restare chiuso semplicemente perché per tipologia di attività non avrebbe alcun senso riaprire adesso, mi riferisco ad esempio a tutti quegli esercizi che vivono soprattutto di turismo. Per quest’ultime infatti non avrebbe nessun senso tornare a regime, finché non verranno riaperte le frontiere e ristabilite le mobilità. Infine, c’è tutta quella fetta di locali e attività che invece hanno assolutamente necessità di riaprire ora, perché altre due settimane di stop per loro avrebbero significato la chiusura definitiva. Insomma, si tratta di una corsa contro il tempo per la stabilità del settore.
Invece, l’altro 18% dei titolari che hanno deciso di non riaprire lo hanno fatto perché non certi delle norme da seguire per la riapertura. Non mi stupisco affatto di questo, considerato che il testo del decreto è stato reso noto praticamente a ridosso del giorno di riapertura. È chiaro quindi il perché ci sia questa incertezza e confusione tra i titolari di ristoranti e locali in genere riguardo le norme da adottare. Ancora una volta la diatriba politica ha avuto la meglio sulle esigenze pratiche di un settore, purtroppo.
A proposito delle norme di sicurezza, ovviamente queste porteranno un importante riduzione dei clienti. Cosa pensa di queste nuove regole introdotte dal decreto? Le norme introdotte, compreso quindi il distanziamento tra i clienti, rappresentano la situazione migliore in un contesto così difficile qual è quello che stiamo vivendo a causa del nuovo Coronavirus. Con questo voglio dire che il problema non è la diminuzione del numero di coperti, il problema è che c’è una pandemia in corso. Questa è l’unica soluzione possibile, non dico per guadagnarci, ma almeno per chiudere in pareggio, ovviamente fatte salve tutte le liquidità e nella consapevolezza che non è sufficiente quanto previsto dal Decreto Rilancio.
Per quanto riguarda il Decreto Rilancio, la categoria dei ristoratori e in genere dei titolari di locali si aspettava delle forme di sostegno economico diverse rispetto a quelle previste fin ora? Quali sono i rischi per i vostri dipendenti? Innanzitutto, ci aspettiamo che ci arrivino gli aiuti promessi dal Decreto Liquidità e dal Decreto Cura Italia. E che quanto si stia discutendo ora in Parlamento arrivi a dei risultati concreti. Per quanto riguarda i dipendenti e in genere i posti di lavoro coinvolti nel settore della ristorazione, è ovvio che c’è il rischio che molte attività non possano continuare ad avere lo stesso numero di dipendenti. Proprio per questo abbiamo chiesto che venga estesa la cassa integrazione almeno fino a fine 2020. Questo perché è chiaro che per il momento riusciamo a cavarcela grazie al fatto che molti dipendenti sono in cassa integrazione, ma, purtroppo una volta che questa sarà finita – a meno che non venga estesa – molti di noi non avranno altre alternative diverse dal licenziamento.