L’industria ha dato il maggior contribuito, per circa i tre quarti del totale, alla crescita della produttività aggregata del lavoro in Italia nel periodo 1995-2017. E’ quanto emerge in un report dell’Istat. Tuttavia, nonostante ciò, la nostra industria, rispetto alle altre economie europee, ha spesso evidenziato una dinamica della produttività inferiore o insoddisfacente. Ciò è sicuramente stato vero nel passato ma dalle statistiche di contabilità nazionale di Eurostat aggiornate al 2018 emergono miglioramenti molto significativi negli ultimi anni.
La crescita. Per la prima volta la produttività del lavoro italiana nell’industria manifatturiera (data dal rapporto tra il valore aggiunto lordo a valori concatenati 2010 e gli occupati) nell’ultimo quadriennio 2015-18 è cresciuta di più di quella degli altri tre maggiori Paesi della moneta unica (Germania, Francia, Spagna). Una novità legata alle prime riforme del mercato del lavoro (Jobs act, decontribuzioni) e del finanziamento dell’innovazione in beni capitali (super-ammortamento, Industria 4.0). Nel quadriennio 2015-18, la produttività media del lavoro dell’industria manifatturiera è così aumentata nel nostro Paese complessivamente del 9,3% in termini reali, contro una crescita del 7,5% in Francia, del 7,1% in Germania e del 3,4% in Spagna. Un risultato notevole, anche perché la nostra produttività manifatturiera non era mai cresciuta così tanto nei precedenti quattro quadrienni dell’era dell’euro.
In passato. Inizialmente, era sufficiente mettere le imprese nelle condizioni di lavorare al meglio, con riforme che rendessero più efficienti e incentivanti i mercati del lavoro e dei beni capitali. Ma questa strada, che era stata coraggiosamente imboccata soprattutto nel triennio 2015-17, sembra ora compromessa dalla marcia indietro politica e decisionale che ha paralizzato il Paese nell’ultimo anno, riportandolo a logiche elettorali di deficit spendinge di assistenzialismo che sono di per sé generalmente dannose, ma che lo sono ancora di più oggi considerando anche il rallentamento economico in corso che richiederebbe invece urgenti interventi pro crescita.
Altri dati significativi. Secondo le più recenti statistiche strutturali dettagliate di Eurostat, relative al 2016, è presente uno stato di salute della manifattura italiana post-crisi eccellente. A livello aggregato la produttività del lavoro italiana nella manifattura è la più alta tra i quattro maggiori Paesi euro nelle imprese piccole da 20 a 49 addetti e in quelle medie da 50 a 249 addetti. Inoltre, il nostro manifatturiero è secondo per produttività solo alle imprese francesi anche nella classe 10-19 addetti. Facendo un confronto con la Germania, la nostra produttività media manifatturiera complessiva (61.400 euro per occupato) è molto inferiore a quella tedesca (77.400 euro). Considerando i dati della produttività, sono i settori di specializzazione e solo dopo le dimensioni di azienda a fare la differenza.
La perdita. Senza automotive la produttività media manifatturiera tedesca è superiore a quella italiana esclusivamente nelle microimprese con meno di 10 addetti. Privandosi delle sue microimprese manifatturiere, l’Italia non soltanto perderebbe una rete nevralgica di relazioni e subforniture, soprattutto all’interno dei suoi distretti industriali, ma anche circa 25 miliardi di Pil e 900mila occupati delle sue stesse microimprese.
I settori tradizionali. Nel settore tessile, la Germania supera l’Italia per produttività aggregata (53mila euro per occupato contro i nostri 50mila). Se noi e i tedeschi “rinunciassimo” ad avere le microimprese tessili con meno di 10 occupati, la nostra produttività media statisticamente migliorerebbe e supererebbe quella tedesca (59mila euro contro 55mila). Inoltre, resteremmo comunque il primo Paese tessile dell’Ue, con un valore aggiunto di 1 miliardo e 200 milioni di euro più alto di quello tedesco.