Nel 2017 le imprese manifatturiere estere a controllo nazionale sono 6.463, occupano 857 mila addetti e realizzano un fatturato di 238,9 miliardi di euro. L’occupazione in queste imprese risulta in salita del 6,5% mentre sale in modo più contenuto (0,8%) per le imprese residenti; di conseguenza le imprese residenti in Italia registrano un aumento che si limita a 29 mila addetti mentre le imprese delocalizzate a controllo italiano aumentano l’occupazione di 52 mila unità. E’ quanto emerge da uno studio condotto da Confartigianato sulla base dei dati Istat.
Filiere globali e il lavoro. L’occupazione nelle imprese estere a controllo nazionale – spiega Confartigianato – equivale agli 859 mila addetti della manifattura del triangolo padano che parte dal Veneto, con le province di Rovigo, Padova, Venezia, Treviso, Vicenza, Verona, passa in Lombardia con Brescia e Mantova e si chiude in Emilia Romagna con i territori di Reggio Emilia, Modena e Ferrara.
I numeri. In Cina – prosegue Confartigianato – nelle imprese manifatturiere a controllo italiano lavorano 92 mila addetti, pari all’occupazione della intera manifattura della provincia di Monza e Brianza; i 78 mila addetti in Romania equivalgono all’occupazione delle imprese manifatturiere della provincia di Napoli, i 67 mila addetti in Brasile superano l’intero Trentino Alto Adige manifatturiero e i 42 mila addetti in Polonia equivalgono all’occupazione della manifattura dell’intera provincia di Udine.
I rischi del ‘full made in Italy’. In alcuni settori tipici del made in Italy e presidiati da micro e piccole imprese persistono quote elevate di fatturato esportato dalle multinazionali a controllo nazionale verso l’Italia: nel Tessile e confezione di articoli di abbigliamento, articoli in pelle e pelliccia la quota è del 52,6% (in aumento rispetto il 49,7% dell’anno precedente), nella Pelle è del 43,4% (era il 38,4% l’anno prima), nei Mobili e altre industrie manifatturiere è del 40,2% (in forte aumento rispetto al 29,3% dell’anno prima). Le multinazionali a controllo italiano della moda e dei mobili – emerge dallo studio – hanno incrementato le esportazioni verso l’Italia del 19,6% mentre le importazioni, negli stessi settori, sono aumentati di un limitato 3%.
Il fatturato. Nel complesso di tutti i settori manifatturieri – rileva Confartigianato – è aumentato di 4,2 miliardi di euro il fatturato esportato in Italia delle multinazionali estere a controllo nazionale, arrivando a 28,6 miliardi di euro, un valore sottostante il lavoro di 193 mila addetti delle Mpi, il 10% dell’occupazione delle nelle micro e piccole imprese manifatturiere.
L’export. Un ulteriore indizio sugli squilibri derivanti dalle filiere globali proviene della divergenza tra l’andamento dell’export e quello della produzione, particolarmente marcata nella Moda: nei primi nove mesi del 2019 – sottolinea Confartigianato – l’export del tessile abbigliamento e pelle sale del 6% (ritmo più che doppio rispetto al +2,5% della media del manifatturiero) mentre la produzione del settore scende del 4,4% (flessione molto più intensa del -1,5% della media del manifatturiero).
Delocalizzazioni e reshoring – Nell’epoca della globalizzazione, dalla caduta del muro di Berlino alla Grande crisi, la delocalizzazione è stata tumultuosa: nel periodo 2001-2006 addirittura il 13,4% delle imprese sopra i 50 addetti – si legge nello studio – ha delocalizzato funzioni all’estero; nello stesso arco di tempo in Italia le imprese della moda, uno dei settori maggiormente colpiti dalla delocalizzazione, hanno perso 117 mila addetti (-15,3%).
I processi di delocalizzazione, pur con una minore intensità rispetto al passato, persistono, mentre il reshoring appare un fenomeno ancora limitato. Nel periodo 2015-2017 il 3,3% delle medie e grandi imprese – conclude Confartigianato – ha trasferito all’estero attività o funzioni svolte in Italia mentre solo lo 0,9% delle medie e grandi imprese italiane ha riportato in Italia attività o funzioni già trasferite all’estero.