È stato già ribattezzato “super bonus Befana” ed è una delle principali novità introdotte dalla Nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanze, varata il 1 ottobre dal Consiglio dei ministri. Si tratta della misura messa a punto, in parallelo a quella del cashback, dal Mef e da Palazzo Chigi per incoraggiare i pagamenti elettronici e quindi ridurre l’evasione fiscale. Ma, a e ben guardare, ad essere favorite non sarebbero solo le casse dello Stato. Anche le banche infatti ne trarrebbero benefici tutt’altro che trascurabili.
Evitare l’aumento dell’Iva era, ormai è noto a tutti, l’obiettivo primario della Manovra economica 2020 e stando alle dichiarazioni dello stesso premier Conte al margine della riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il nuovo Def sembrerebbe esser stato realizzato. Infatti, come dichiarato dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri, la manovra di circa 30 miliardi “sarà sostenuta in parte dall’utilizzo dei margini di flessibilità, in parte da altre misure”. Tra queste un capitolo sarà costituito da “misure complessivamente volte al recupero di gettito tributario e di contrasto all’evasione”, il cui peso all’interno della manovra dovrebbe aggirarsi intorno ai 7 miliardi.
Incoraggiare i pagamenti elettronici sarebbe dunque il principale strumento per incrementare la tracciabilità degli spostamenti di denaro e dunque contrastare l’evasione fiscale. Le due misure messe a punto in questa direzione dal Mef mirerebbero infatti a favorire chi opta per bancomat e carta di credito attraverso dei veri e propri rimborsi. In particolare, la prima, il cashback, consisterebbe in una parziale restituzione su base mensile dell’Iva, secondo una percentuale che, sebbene ancora non ufficializzata, dovrebbe aggirarsi intorno al 3%. La seconda invece, ormai nota come super bonus della Befana, permetterebbe “al contribuente – si legge su Adkronos – di cumulare le spese (fino a 2.500 euro) godendo di un superbonus del 19%, un ‘tesoretto’ che arriverà direttamente sul conto corrente nei primi anni dell’anno nuovo” ed equivalente quindi ad un massimo di 475 euro.
I vantaggi per le banche. A beneficiare di simili iniziative sarebbero però, da dietro le quinte, anche le casse delle banche italiane. Un articolo del Il Sole 24 Ore ha infatti mostrato come una riduzione dell’uso di contante porterebbe un significativo taglio dei costi. “Gli oneri – si legge sul quotidiano – sono quelli legati alla gestione che va dal trasporto, ai sistemi di vigilanza fino ai costi indiretti relativi alla gestione dei pagamenti in filiale con l’utilizzo di cash”: solo per quanto riguarda i costi diretti quindi, come spiegato da Guido Tirloni, associate partner Kpmg, “il contante costa tra 5mila e 10mila euro per ogni filiale”. Ma è soprattutto nei costi indiretti che le banche potrebbero trarre i migliori vantaggi. Uno tra tutti sarebbero il notevole potenziamento che si avrebbe nell’analisi dei flussi di denaro e quindi dei profili dei clienti: “nel momento in cui il cliente bancario usa le carte di credito – ha infatti fatto notare Tirloni al Sole 24 Ore – c’è una maggiore tracciabilità dei flussi e questo consente di conoscere meglio il cliente anche dal punto di vista di affidabilità creditizia.”
Ma chi sarebbero i principali beneficiari? Secondo Alberto Villa di Intermonte Sim, tra le più note investment bank in Italia, una modificazione delle abitudini di pagamento degli italiani avrebbe “a Piazza Affari – riporta il Sole 24 Ore – tra i principali beneficiari Nexi e Poste Italiane”. Per le due aziende, infatti, quello della moneta virtuale è tra i più proficui settori di attività: la prima offre servizi di pagamento digitale alle principali banche italiane, mentre la seconda è l’azienda leader nel campo delle prepagate. Si capisce dunque perché una riduzione dell’uso del contante a favore delle transizioni di denaro ridurrebbe di certo l’evasione, ma sarebbe anche una buona notizia per le banche e alcuni privati.