Dopo un 2020 terribile e, in generale, il periodo della pandemia che ha pesato notevolmente sull’economia globale, si iniziano ad intravedere segnali di ripartenza concreta. Naturalmente, non è tutto oro quel che luccica. In ogni caso, i dati diffusi a luglio dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno mostrato uno scenario positivo, seppur segnato da profonde divergenze a livello regionale. A guidare la ripresa sono le economie orientali, Cina su tutte, dove è attesa una crescita del 7,5% nel 2021. Anche gli Stati Uniti tornano a correre e seguono da vicino le economie asiatiche con un tasso di crescita previsto al 7%, mentre la ripresa nel Vecchio continente appare molto più lenta, con una previsione di crescita data al 4,6%. Tassi di crescita più bassi invece in Asia Centrale e per le economie dell’Africa Sub-Sahariana, dove i paesi scontano la lentezza della campagna vaccinale.
I dati OCSE. Le previsioni del FMI sono confermate anche dai dati sul secondo trimestre dell’anno forniti dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Dei Paesi del G7 solo gli Stati Uniti dovrebbero tornare a livelli di crescita del PIL antecedenti la pandemia, mentre anche qui si confermano le differenze regionali con i Paesi africani e dell’Asia centrale. L’economia europea dovrà attendere almeno l’inizio del 2022 per tornare ai livelli precedenti alla crisi, anche se vi sono casi particolari di forte rimabalzo anche in Europa: il Regno Unito segna un +4,8% rispetto al trimestre precedente, mentre l’Italia segna un +2,7%, ponendosi al di sopra della media dell’eurozona attesa al 2%. Naturalmente, ci sono anche casi negativi nei casi regionali, come il Giappone che ne contesto orientale registra solo un +0,3% su base trimestrale. In ogni caso, ci sono anche variabili che potrebbero compromettere questa crescita.
L’inflazione. Tra i vari spettri che rischiano di compromettere la ripresa c’è sicuramente l’inflazione, che è tornata a galoppare sia in Europa che in America. Negli Stati Uniti quest’ultima a luglio ha superato il 5% su base annua per il terzo mese consecutivo, mentre per il Vecchio Continente l’Eurostat ad agosto segnala un aumento su base annua al 3%. Dati in aumento rispetto a luglio, dove si attestava sul 2,2%, con la Germania a detenere la maglia nera con un aumento dell’inflazione al 3,9%. Tra le cause fisiologiche di questo aumento vi sono le misure legate alla crescita economica di risposta alla crisi sanitaria e l’aumento della domanda. Le prime sono rappresentate dalle notevoli politiche fiscali e monetarie espansive applicate su entrambe le sponde dell’Atlantico, cosa che ha comportato un naturale aumento del debito pubblico. A spingere l’aumento della domanda sono le risorse necessarie per la transizione verde e digitale, specialmente per materiali come rame e litio, elementi essenziali in ambito tecnologico e in quello delle auto elettriche. Ad aumentare sono, però, anche i costi delle spedizioni marittime e dei noli, quasi triplicati rispetto allo scorso anno.
I prezzi dell’energia. Se le cause appena elencate di aumento dell’inflazione rappresentano comunque elementi fisiologici e “normali”, quindi non proprio negativi, diverso è il discorso per l’aumento dei prezzi dell’energia. A trascinare tale trend è il petrolio con il prezzo al barile tornato sopra i 70 dollari dopo il crollo registrato nel 2020 e connesso anche alla riduzione dell’offerta dei Paesi esportatori. Solo per fare un esempio di quanto l’aumento dei costi energetici pesa sull’inflazione basti pensare che l’inflazione dell’eurozona appena citata si quasi dimezzerebbe senza il peso della componente energetica.
Variazioni. L’attuale aumento dei prezzi e la loro variazione sono difficili da prevedere. Per quanto concerne le materie prime, data soprattutto una domanda ancora forte, i prezzi dovrebbero mantenersi sui livelli attuali, così come il tariffario del trasporto marittimo. Sul fronte delle materie prime, al contrario, un potenziale aumento dell’offerta da parte dei Paesi dell’OPEC+ potrebbe favorire un abbassamento dei prezzi. Dunque, come la pandemia ha ampiamente insegnato, fare una previsione certa è estremamente difficile al momento, poiché il livello di inflazione è fortemente legato alla ripresa dell’economia, senza contare ulteriori elementi di incertezza come lo scontro commerciale tra Washington e Pechino ancora in atto.
L’Italia. Come detto, per lo Stato italiano l’OCSE ha rialzatole stime di crescita, ma ha anche specificato un rallentamento nel corso del 2022. Nello specifico, in apertura del documento di 144 pagine riguardante l’Italia, l’organizzazione specifica: “Un significativo sostegno fiscale nel 2021 favorirà la ripresa nel breve termine, con l’accelerazione dei tassi di vaccinazione e l’allentamento delle restrizioni. Più ingenti investimenti pubblici, ivi inclusi quelli finanziati dai fondi Next Generation EU, unitamente a una maggiore fiducia e livelli di domanda più elevati, sosterranno gli investimenti nel settore privato. Tuttavia, rispetto ad altre grandi economie, in Italia la ripresa continuerà a ritardare, con un PIL che recupererà i livelli del 2019 solo nel primo semestre del 2022”. A pesare sul nostro Paese sarà anche un debito pubblico che sfiorerà il 160% e un invecchiamento demografico che peserà sulle finanze pubbliche. L’OCSE nel documento invita il Governo ad affrontare le sfide di lungo periodo. In particolare, si chiede all’esecutivo di annunciare in anticipo un piano fiscale di medio periodo da attuare a ripresa consolidata e ad avviare un intervento forte volto a migliorare l’efficacia del settore pubblico.