Nel corso del 2018 l’attività produttiva è apparsa in rallentamento in tutte le principali aree del mondo. Questa tendenza fa seguito a un biennio di espansione già assestato su un sentiero di crescita più basso di quello registrato negli anni più intensi della globalizzazione. Il rallentamento riflette senz’altro fattori di ordine congiunturale, che convergono nel generare un clima di crescente incertezza: orientamento più inward-looking delle politiche commerciali americane; situazione tuttora confusa sui possibili esiti della Brexit, tensioni economiche USA Cina e, in Europa, rischi connessi all’esito delle elezioni. E’ questo il quadro che emerge dal rapporto 2019 di Confindustria.
Il rallentamento del commercio mondiale impone a tutti i sistemi economici di tornare a fare affidamento più che in passato sul mercato domestico. È necessario – spiega Confindustria – costruire le condizioni per un aumento della domanda interna, per ottenere il quale occorrono più investimenti pubblici e privati. Ne deriva l’esigenza di un ruolo più incisivo della politica economica. Questo problema può diventare particolarmente acuto in quelle economie emergenti che non sono riuscite ad ampliare la gamma delle loro produzioni, e sono rimaste invece vincolate a una specializzazione ristretta, che a sua volta si riflette in tassi di industrializzazione modesti.
Colpite anche quelle economie industriali europee (vecchie e nuove), tra cui l’Italia, che hanno impostato le loro strategie di crescita su base sostanzialmente individuale: non disponendo alcuna di esse di una domanda interna di dimensioni imponenti, la strategia è stata quella di cercare la domanda altrove, anche nello stesso ambito europeo. – si legge nel rapporto – Ne è derivata una visione della politica economica permanentemente orientata ad agire sui fattori di offerta, alla continua ricerca di una maggiore competitività. E dunque a trascurare il potenziale ruolo della domanda interna, vista come fonte di peggioramento del vincolo esterno (via maggiori importazioni) e in ultima analisi come sostegno all’offerta altrui.
La capacità di esportare. Nonostante la contrazione dei livelli di attività subita negli anni della crisi, e nonostante il crescente diffondersi dello sviluppo industriale verso nuove aree economiche, l’Italia è nel 2018 ancora la settima potenza manifatturiera del mondo. – spiega il rapporto – A questo ruolo ne corrisponde uno altrettanto rilevante dal punto di vista della capacità di esportare, che vede il paese al nono posto nel mondo (ma tra chi la precede compaiono Paesi Bassi e Hong Kong, che sono prevalentemente centri di ri-esportazione di beni prodotti altrove).
I settori e i paesi di destinazione dei prodotti. Nella media dell’anno la dinamica delle esportazioni italiane di manufatti è risultata in rallentamento rispetto al 2017, ma è stata in linea con quella degli altri principali partner europei (Francia, Germania e Spagna). Ha pesato negativamente la presenza di economia in crisi (Argentina, Turchia e Venezuela), di sanzioni europee ancora in vigore (Russia) e di decelerazioni dell’import (Cina). – sottolinea il rapporto – La capacità di aggiustamento tra paesi e tra settori è vitale per lo sviluppo di una manifattura moderna e sempre più integrata – anche attraverso catene del valore ormai globali – nel contesto internazionale. In questa prospettiva continua il ri-orientamento, lento ma costante, dell’export italiano verso mercati di destinazione più dinamici. Ed è contestualmente in riduzione il peso dei settori del made in Italy.
Il lavoro nella manifattura. La manifattura italiana impiega oggi quasi 4 milioni di persone (650mila in meno di quelle che impiegava nel 2007). – rileva Confindustria – Il ridimensionamento subito negli anni di crisi, riflesso inevitabile di quello dell’attività produttiva, appare ormai strutturale, anche per effetto di una ricomposizione dell’occupazione verso i servizi che caratterizza fisiologicamente la fase più avanzata dello sviluppo dei paesi industriali: tra il 2007 e il 2013 le ore lavorate nella manifattura erano diminuite del 21,1 per cento; tra il 2013 e il 2018 il recupero è stato del 3,3 per cento.
Nel panorama del mercato del lavoro italiano la manifattura è caratterizzata da una forza lavoro impiegata per orari più lunghi e con contratti più stabili della media, con una incidenza dell’occupazione femminile modesta (dovuta alla prevalenza di lavoro manuale e di mansioni pesanti). – si legge nel rapporto – In questo quadro deve essere comunque segnalato che la composizione dell’occupazione si è evoluta: negli ultimi dieci anni è evidente nei dati un fenomeno di polarizzazione, con un aumento del peso relativo sia delle professioni caratterizzate da un alto livello di competenze sia di quelle elementari, e una contestuale riduzione della quota delle professioni intermedie. Nella prospettiva dei cambiamenti tecnologici che verranno, e che amplificheranno la questione della “qualità” del fattore lavoro, – conclude il rapporto – il problema dell’occupazione diverrà probabilmente più acuto.