Nel 2017 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a poco meno di 211 miliardi di euro (erano 207,7 nel 2016), con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%. E’ quanto fa sapere l’Istat in una nota.
I dati. L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%. – spiega l’Istituto – La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%).
La composizione dell’economia non osservata, ovvero il peso percentuale che ciascuna componente ha sul totale dell’economia non osservata, registra modeste variazioni nell’arco dei quattro anni analizzati. La correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto – prosegue l’Istat – risulta essere la componente più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesa il 46,1% (+0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente).
Il sommerso economico. L’insieme delle componenti dell’economia sommersa vale nel 2017 circa 192 miliardi di euro, il 12,3% del valore aggiunto prodotto dal sistema economico: la sotto-dichiarazione vale 97 miliardi, l’impiego di lavoro irregolare 79 miliardi e le componenti residuali 16 miliardi. – si legge nella nota – Il 41,7% del sommerso economico si concentra nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.
La ripresa. Nel 2017 sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) – conclude l’Istat – segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).