Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia, ha affermato che per la complessità del fenomeno non ci si può limitare ad un unico strumento: doverosa e necessaria un modello integrato che non preveda solo la leva fiscale ma che comprenda l’attivazione di un processo virtuoso che assicuri la l’entrata e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro. Non solo giustizia nei confronti delle donne ma un modello sociale con adeguati strumenti quali: la formazione, la riqualificazione e la conciliazione fra vita privata e professionale. Il Governo sta lavorando in questo senso, se la donna rientra al lavoro dopo la maternità ci deve essere un vantaggio economico per l’impresa e le politiche di Welfare, come gli asili nido e i servizi, devono agevolarne il ritorno in servizio. Quanto si evince in una nota dell’Inps.
Gabriella Di Michele, Direttrice generale, ha fatto una panoramica su quella che è stato l’andamento dell’occupazione femminile prima e dopo la pandemia. Il numero delle donne manager nel 2021 è rimasto invariato (26%), così come è rimasto invariato quello delle donne imprenditrici artigiane (28%), mentre c’è stata una flessione del – 7% sul numero delle donne occupate. Il problema rimane quello della permanenza nel mondo del lavoro e delle dinamiche salariali. Ad esempio, gli uomini artigiani guadagnano un + 12%, mentre i dipendenti privati un + 44%. La legge 92/2012 ha segnato una svolta non prevedendo solo la protezione, ma una serie di misure in favore dell’occupazione femminile, con la ricognizione e il controllo sulle politiche aziendali. La certificazione biennale che le aziende sono tenute a produrre, in merito alle lavoratrici impiegate e alla loro permanenza in azienda, diventa uno strumento preferenziale per l’accesso agli incentivi.
Nella prima parte del workshop, condotta da Edoardo Di Porto, della Direzione centrale Studi e Ricerche-Inps, sono stati presentati i risultati della ricerca, analizzati gli effetti del “Bonus Donne” sull’occupazione femminile e l’impatto sul mercato del lavoro di tale sgravio contributivo.
Nello studio, realizzato da Lorenzo Incoronato, dell’University College of London, è stato evidenziato come le imprese che hannobeneficiato del bonus siano in media più grandi, prevalentemente situate nelle regioni meridionali e operino nei servizi. Rispetto alla media delle nuove assunzioni femminili, le lavoratrici assunte tramite la riforma sono più anziane, più istruite ed hanno maggiore probabilità di essere madri. Alcune analisi preliminari sulle imprese che hanno usufruito del beneficio, sfruttando l’attuazione scaglionata della riforma, mostrano un effetto positivo e significativo, seppur di breve durata, sulla quota di donne assunte rispetto al totale delle nuove assunzioni.
Enrico Rubolino, dell’Università di Losanna, ha evidenziato come la riduzione del costo del lavoro, attraverso il bonus decontribuzione, non abbia influito in maniera significativa sull’aumento della retribuzione delle lavoratrici. Tuttavia, le aziende che hanno usufruito dello sgravio hanno visto un miglioramento delle loro performance e il sistema di Welfare ne ha beneficiato, dal momento che le lavoratrici non hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. Prosegue l’istituto nazione di previdenza sociale.
Una discussione dei lavori di ricerca è stata in seguito condotta daVincenzo Scrutinio, Università di Bologna e CEP, il quale ha espresso dubbi sull’efficacia dello strumento nel lungo periodo e sul fatto che non dovrebbero esserci divergenze di andamento a seconda della zona geografica.
Nella seconda parte, Daniele Checchi, Direttore centrale Studi e ricerche Inps, ha affrontato il tema delle politiche per supportarel’occupazione femminile in Italia nel tempo, ha esaminatol’impatto sul mercato del lavoro del “Bonus Donne”, proponendo ulteriori strategie di identificazione e approfondimenti metodologici.
Nella tavola rotonda, alla quale hanno partecipato Maria De Paola, Direzione centrale Studi e Ricerche-INPS, Francesca Mazzolari, Confindustria e Susanna Camusso, CGIL è emerso che, con la pandemia c’è stato un peggioramento dal punto di vista dell’occupazione, soprattutto di quella femminile. Ancora oggi le donne sono segregate nei settori meno essenziali, come il lavoro domestico e i lavori di accudimento. C’è la necessità di un cambiamento culturale e nel PNRR ci sono molte iniziative che potrebbero andare in questo senso. Per l’inserimento e la permanenza nel mercato del lavoro delle donne, sono strumenti utili il partime e lo smartworking, ma bisogna stare attenti a non favorire, appunto, la segregazione e l’isolamento. Gli uomini hanno iniziato ad usufruire dei congedi parentali e bisogna favorire questa reciprocità tra madri e padri, senza ricadere nella discriminazione dei lavoratori padri, come è stato per le lavoratrici madri.
Il Presidente, Pasquale Tridico, nel suo intervento ha ricordato che “Nel mondo solo il 20% del lavoro retribuito è delle donne, c’è un potenziale di attivazione enorme e la mancanza di quell’80% di lavoro femminile frena le economie. Ed è noto come l’alto tasso di lavoro femminile nei paesi del nord Europa, che risultano anche i più produttivi, sia stato spinto in modo determinante grazie all’obbligatorietà del congedo parentale anche per l’uomo e ad una forte decontribuzione sul lavoro femminile”.
“In Italia abbiamo una spesa di 24 mld all’anno per decontribuzioni fiscali sul lavoro. – prosegue l’Inps – Diversi studi, tra cui quelli dell’Inps presentati oggi, dimostrano che una decontribuzione mirata, ad esempio sulle donne o sui giovani o su aree geografiche come “decontribuzione sud”, ha effetti maggiori e di propagazione positiva sui tassi di occupazione. Questi fondi, distribuiti in modo generalizzato, ne disperdono l’efficacia. Quali potrebbero essere dunque gli effetti se quei 24 miliardi fossero destinati al taglio del cuneo fiscale, parte a decontribuzioni mirate? I benefici, come dimostrano le analisi Inps e gli esempi di altri paesi del mondo, sarebbero evidenti”.