Si chiude con un saldo attivo di 13.848 unità in più, rispetto alla fine di giugno, il bilancio fra le imprese nate (66.823) e quelle che hanno cessato l’attività (52.975) nel terzo trimestre dell’anno. Il segno ‘più’ continua dunque a caratterizzare l’andamento demografico della grande famiglia delle imprese italiane (6.101.222 unità alla fine di settembre), pur in presenza di segnali di difficoltà sia sui mercati internazionali sia su quelli domestici, in particolare per le piccole e piccolissime imprese. E’ questo il quadro che emerge dai dati diffusi da Unioncamere-InfoCamere in una nota sulla natalità e mortalità delle imprese italiane nel terzo trimestre 2019.
I dati. Il 91% dell’intero saldo – si legge nella nota – è infatti dovuto alle imprese costituite in forma di società di capitali (cresciute nel trimestre al ritmo dell’0,7%). Nel complesso, il tasso di crescita del trimestre (+0,23%, tra i più contenuti dell’ultimo decennio con riferimento al periodo giugno-settembre) è frutto di una natalità (1,1%) e una mortalità (0,87%) sostanzialmente in linea con l’anno passato.
Il fenomeno più rilevante del trimestre è il ritorno in campo positivo, dopo ben sette anni in rosso, del bilancio delle imprese artigiane. A fronte di un calo modesto delle cessazioni di impresa rispetto allo stesso periodo del 2018 (16.208 contro 16.584, pari -376 unità), – spiega Unioncamere – nel trimestre estivo del 2019 è risultato in deciso aumento (+2mila unità rispetto all’anno passato) il numero di quanti hanno deciso di intraprendere una attività artigiana (17.583).
Segnali di crisi. Nonostante il segnale di ripresa registrato, – precisa Unioncamere – la crisi per il comparto non è tuttavia ancora alle spalle: ad oggi, infatti, non si è infatti ancora ricostituito lo stock delle imprese artigiane esistenti a settembre del 2011 (quasi 1,5 milioni di imprese), rispetto a cui mancano tuttora all’appello oltre 165mila unità, corrispondenti ad una riduzione percentuale complessiva superiore all’11% nel periodo, oltre un punto percentuale in media all’anno.
Il bilancio dei territori. In tutte le regioni, il trimestre si è chiuso con il segno positivo: dal Lazio (2.279 imprese in più), alla Valle d’Aosta (38). E’ il Sud che ha fatto registrare il saldo in valore assoluto migliore tra le quattro aree geografiche, pari a 5mila unità. Con una percentuale di cessazioni (32,8%) di poco inferiore a quello delle iscrizioni (33,6%), – si legge nella nota – il suo contributo al saldo complessivo è stato pari al 36,4%: un valore superiore di ben 3 punti percentuali a quello dello stock delle imprese meridionali e inferiore solo di 3 punti (39,5%) al valore del saldo delle due circoscrizioni settentrionali nel loro insieme.
I numeri. Il Nord-Ovest e il Nord-Est – si legge nella nota – hanno invece complessivamente determinato il 44,6% delle nuove iscrizioni (44,5% il peso percentuale dello stock) e il 45,9% delle cessazioni, limitando il loro apporto al saldo complessivo al di sotto del 40%: cioè un contributo di 5 punti percentuali inferiore al peso che le imprese collocate nel territorio delle due circoscrizioni hanno sul totale delle imprese italiane. Ad eccezione del Centro, tutte le circoscrizioni hanno fatto però registrare un tasso di crescita superiore a quello misurato nel corrispondente trimestre dello scorso anno.
La geografia dell’Italia artigiana. Nel trimestre da poco concluso – conclude Unioncamere – tutte le macro-aree del Paese hanno fatto registrare un miglioramento dello stock rispetto ai dodici mesi precedenti incremento, in una forchetta compresa tra le 199 imprese del Centro e le 460 del Nord-Ovest. Tra le regioni, solo in quattro presentano saldi negativi: Toscana (-133), Marche (-63), Umbria (-30) e Abruzzo (-10).