Le marche stanno assumendo un ruolo politico di guida per migliorare la società, nuove sfide che rendono le aziende sempre più attori sociali e non solo economici. L’Osservatorio Civic Brands, il nuovo progetto sull’impatto sociale dei brand in Italia realizzato da Ipsos in collaborazione con Paolo Iabichino, ha condotto una survey con 30 domande che hanno coinvolto 1.000 persone dai 18 ai 65 anni per analizzare il cosiddetto “say-do gap”, ovvero la differenza tra dichiarato da parte delle persone ed effettivo comportamento agito.
“Siamo di fronte a un nuovo consumatore, molto più attento nel giudicare il lavoro di un’azienda, tanto che il 43% dichiara di aver smesso di comprare alcuni prodotti o servizi, di marche o aziende, perché deluso dal loro comportamento. Interessate, invece, come il 39% ritiene che sia compito delle marche incentivare i comportamenti responsabili, contro il 26% che crede sia onere dei governi” afferma Andrea Fagnoni- Chief Client Officer, Ipsos. “Sono sfide che coinvolgono le aziende ma sono anche opportunità per aprirsi a un dialogo più vero con i consumatori, anche perché il 17% ritiene che le istituzioni e la politica non sono più in grado di agire e coinvolgere le persone per il miglioramento della società, ruolo coperto – per il 24% – da marche e aziende il cui agire può davvero migliorare la società con le loro azioni.”
Stiamo andando verso una nuovo ruolo del business. Per il 63% degli intervistati, oltre a vendere prodotti o a offrire servizi, i marchi e le aziende devono agire in prima persona rispetto a questioni sociali rilevanti, per il 67% è arrivato addirittura il momento che le imprese cambino il proprio modo di vivere e operare per la società. La fiducia è un punto cruciale, resta uno scetticismo di fondo da affrontare perché per il 67% rimane ancora difficile capire se un’azienda è veramente responsabile.
Per quanto riguarda la comprensione se una marca è effettivamente civica, l’83% ha le idee chiare: il “civismo” dei brand non può prescindere dall’attenzione dai primi portatori di interessi, ci si deve occupare della qualità della vita dei propri dipendenti; per l’82% un civic brand deve portare un contributo di prossimità, con azioni concrete sul territorio e per il 68% degli intervistati dovrebbe prendere una posizione chiara e concreta in ambiti delicati, come diritti civili, razzismo e parità di genere.
“Non c’è più tempo per tergiversare, le tematiche non possono più essere delegate ai racconti e alle narrative. Il 31% degli intervistati si trova molto d’accordo nel ritenere che una marca o azienda, che oggi non agisce concretamente in tema di sostenibilità ambientale, non può avere futuro. Comunicazione e azione devono andare a braccetto, la creatività si misura con l’impegno, le azioni e l’impatto delle parole” afferma Paolo Iabichino, Direttore Creativo e co-founder dell’Osservatorio Civic Brands. “Serve una scrittura in grado di ribaltare archetipi e paradigmi e in grado di mettere le parole al servizio dell’impatto sociale e culturale, per questo sono felice sia partita la seconda edizione di Scrittura Civile alla Scuola Holden. Se pensiamo che il 40% degli intervistati aderirebbe volentieri ad un’iniziativa in ambito sociale, culturale, ambientale volta a migliorare la propria comunità, o realtà in cui vivono, promossa da una marca o da una azienda e il 36% ammette che, se fosse coinvolta, sarebbe molto più propensa a scegliere ed acquistare i loro prodotti, capiamo quanto creativi e brand possano fare per il cambiamento. È il momento della co-creazione”.
L’84% infatti, ritiene che le marche e le aziende devono ascoltare e farsi aiutare dai propri consumatori per agire in modo responsabile per il bene delle comunità e dei territori e il 78% le vuole parte attiva, aiutando e appoggiando le persone nelle azioni e iniziative per migliorare la società.
L’impegno civico del brand ha una ricaduta economica concreta, il comportamento di una marca ormai è un driver di acquisto.