Il 2020 è stato un anno particolare e complesso. L’evoluzione della crisi sanitaria mondiale della scorsa primavera si è inesorabilmente riflesse anche sull’economia. Durante l’estate c’è stato un attimo di tregua, che ha portato ad un allentamento progressivo delle misure. Sembrava che l’incubo fosse finito e anche l’economia mostrava segnali positivi dopo la brusca interruzione primaverile. Purtroppo, come ben sappiamo, con la fine della stagione estiva, che aveva già favorito una circolazione del virus in tutta Europa, e la ripresa della vita quotidiana tra scuole e uffici, il Covid-19 è tornato a stringere il Vecchio continente nella sua morsa.
Naturalmente, l’arrivo della seconda ondata ha portato l’Italia e i vari Paesi europei a prendere nuove misure restrittive, seppur più mirate data l’esperienza accumulata sul virus e sulla gestione del contenimento dello stesso. Sul piano economico ciò non ha comportato, a differenza della primavera, una chiusura netta delle attività economiche e delle catene di produzione, ma la seconda ondata ha comunque comportato una mancata ripresa della domanda nei diversi settori. I fattori causa di tale tendenza possono essere diversi: riduzione del potere di acquisto delle famiglie, propensione delle stesse al risparmio e cambiamenti nelle tendenze di consumo dovuti alla stessa pandemia. Secondo i dati ISTAT, infatti, il reddito delle famiglie italiane, al netto dell’inflazione, ha registrato un calo del 4% su base annua, oltre 22 miliardi di euro, nel primo semestre 2020. Nello stesso periodo, il tasso di risparmio delle famiglie è praticamente raddoppiato, passando dall’8,2% al 16% del reddito disponibile
La situazione delle esportazioni italiane. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica sul commercio estero del 2019, riviste di recente, l’export italiano ha chiuso superando i 480 miliardi di euro corrispondenti ad una crescita tendenziale del +3,2%. Tale revisione, che tiene conto anche della contrazione della primavera 2020, ha portato a marcare maggiormente la contrazione delle esportazioni nell’anno in corso. Infatti, secondo gli ultimi dati disponibili, le esportazioni italiane hanno interrotto la crescita in atto da maggio, raccogliendo nel mese di ottobre un -1,3% rispetto a settembre. Non un calo drammatico, poiché non va a compromettere in maniera netta gli ottimi risultati del trimestre agosto-ottobre, cresciuto del +13,5% rispetto al periodo maggio-luglio. Tuttavia, nonostante ottobre abbia rappresentato una battuta d’arresto dopo la ripresa partita dopo il crollo di aprile, l’export italiano si è contratto dell’8,4% rispetto allo stesso mese del 2019, dopo aver registrato un +1,1% a settembre.
Tendenza europea, ma eterogenea a livello globale. Il bilancio delle vendite italiane oltre confine è ovviamente in rosso, ma la tendenza in negativo si è assottigliata nel corso dell’estate, dopo il fondo toccato nel mese di maggio. Le esportazioni più colpite sono state proprio quelle verso i mercati extra UE, ma appunto la tendenza qui è continentale, dato che lo stesso mercato europeo ha segnato un -11,7% nell’export con Francia e Spagna a rappresentare le peggiori performance: rispettivamente – 13,6% e – 19,5%. La domanda dei prodotti italiani, come detto, è in contrazione nel mercato estero, ma ha avuto un andamento molto variegato a seconda dell’area economico di riferimento.
Prendendo ad esempio il mercato orientale, l’export verso Cina e Giappone, i nostri primi due partner di riferimento economico nell’area, ha mostrato tendenze differenti. Nei confronti del dragone cinese si è registrato un tonfo nella prima parte dell’anno, dovuto principalmente alle conseguenze della pandemia sulle catene produttive, ma che ha in seguito mostrato una reazione che ha portato ad un recupero costante che si attesta attualmente sul -6,3%. Nei confronti di Tokyo, invece, la contrazione è stata sicuramente contenuta, ma non c’è stato lo stesso recupero visto per Pechino, una situazione quasi uguale a quella vista per l’export italiano destinato a Washington.
I settori più colpiti. Approfondendo il risultato a livello settoriale, i beni di consumo sono quelli che hanno subito la contrazione “minore”: -8,5% nei primi dieci mesi del 2020, mentre i beni intermedi e quelli strumentali hanno registrato rispettivamente un -10,2% e -15,2%. Il motivo di tale dato, facilmente intuibile, è dovuto al fatto che la domanda dei beni di consumo è rimasta forte, specialmente nel corso della prima ondata dove c’era un’alta richiesta di prodotti farmaceutici ed alimentari. Ad essere pesantemente colpito è stato il mondo dell’abbigliamento e dei prodotti in pelle, che, non essendo beni essenziali, hanno subito il riflesso del potere di acquisto delle famiglie, registrando rispettivamente un -19,1% e un -22,4%.
Sui prodotti elettronici gli effetti della pandemia, invece, si fanno più timidi e contenuti e con una domanda che è restata solida. Infatti, la contrazione del settore si attesa su -6,1%, quasi la metà della contrazione mediana dell’export italiano attestatosi sul 12%, con i mercati extra-UE a favorire tale dato: solo una contrazione del -2,6%. A favorirlo è stato in parte sicuramente lo smart working, ma anche l’alta richiesta da parte di determinati mercati: Giappone, Russia e Stati Uniti su tutti. Sperando che la pandemia non faccia altri pesanti colpi di coda e che la vaccinazione proceda a dovere, al momento il rimbalzo del +9,3% previsto dall’Istat per il 2021 può essere considerato potenzialmente ancora valido.