Si sono concluse le cosiddette “elezioni climatiche”, come era stata ribattezzata la tornata elettorale norvegese a seguito di una battuta del portavoce dei laburisti, Espen Barth Eide. E non vi è dubbio che la transizione green abbia giocato un ruolo primario in queste elezioni, che sanciscono la fine di otto anni di potere incontrastato dei conservatori guidati dalla energica Erna Solberg, prima donna a guidare un esecutivo (per ben due mandati consecutivi) nella storia del Paese.
Energia: il ruolo delle rinnovabili. Come detto, la questione climatica è stato uno dei temi primari del confronto politico. Basta guardare pochi dati per comprendere l’importanza della questione energetica nel Paese scandinavo, che fa ampio uno delle energie alternative. Lo Stato norvegese punta ad essere il primo al mondo a mettere al bando i veicoli a combustibile fossile entro il 2025, dato che nel Paese oltre il 70% delle nuove auto registrate nel corso degli ultimi mesi erano elettriche. Non si tratta, poi, solo di automobili, ma il boom dei mezzi ad alimentazione elettrica si estende ad autobus, tram, treni e, nell’ultimo periodo, anche ad imbarcazioni. Naturalmente, a favorirlo è una politica di sussidi e agevolazioni notevole messa in campo dallo Stato, con importanti sconti fiscali sull’acquisto, l’esenzione dall’ecopass, dalle tariffe autostradali e da una serie di sconti sui parcheggi. Non solo mezzi, anche sulla produzione di energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili la Norvegia è uno dei paesi più virtuosi al mondo: il 96% viene prodotta dagli impianti idroelettrici, senza contare una costante crescita anche degli impianti eolici.
La dipendenza dagli idrocarburi. Tuttavia, ironia della sorte, tale spinta verso le energie rinnovabili e la transizione green è dovuta principalmente alla ricchezza portata dal petrolio e dal gas. La Norvegia, infatti, è il primo produttore europeo di petrolio, nonché il terzo esportatore al mondo di gas, cosa che ha permesso allo stato di creare il fondo sovrano più ricco al mondo. Venendo ai dati concreti, le energie fossili rappresentano oltre il 40% delle esportazioni norvegesi e nel settore sono occupati quasi 170mila persone, quasi il 7% della forza lavoro del Paese.
Le posizioni dei partiti. L’importanza della questione era molto rilevante, dato che la transizione green norvegese è al momento fortemente favorita dalle energie fossili. Lo sapevano bene i principali partiti del panorama politico: il partito Conservatore della Solberg e il Laburista di Støre. I due partiti condividevano una posizione molto moderata sul tema: non interrompere l’estrazione e la ricerca di nuovi giacimenti almeno fino al 2050, ma sfruttare i ricavi di tale settore per favorire la transizione alle rinnovabili. L’unica differenza era data dai laburisti, determinati a velocizzare tale transizione pur mantenendo inalterati gli introiti delle esportazioni. Diversa la posizione dei Verdi e del partito Rosso, marxista e antieuropeista, più radicali e volonterosi di dare una svolta estrema alla transizione, volendo decidere da subito, seppur in maniera poco chiara, una data per la interruzione delle estrazioni e lo smantellamento dell’industria. I socialdemocratici, invece, pur avendo una linea sulla transizione più marcata di quella dei laburisti, hanno da sempre mantenuto una posizione moderata sulle tempistiche della transizione dell’abbandono totale dei combustibili fossili. Le posizioni dei Verdi e del Partito Rosso in ogni caso non creeranno problemi al nuovo esecutivo.
I risultati. Il centrosinistra vince ampiamente le elezioni e non avrà bisogno di compromessi con l’estrema sinistra per formare il nuovo Governo. Infatti, il Partito Laburista si conferma come prima compagine politica norvegese, guadagnando 48 seggi. Un risultato un po’ al di sotto delle attese, ma che non preclude la possibilità di formare un governo moderato, dato che assieme al Partito di Centro e ai socialdemocratici della Sinistra Socialista il nuovo esecutivo possiede poco più di un centinaio di seggi sui 169 disponibili. Con questi numeri la coalizione di governo va a consolidare una maggioranza assoluta di ben 89 seggi. I conservatori, invece, vanno all’opposizione con la leader Erna Solberg, che nel 2017 aveva sconfitto proprio Støre, che ammette la sconfitta e si congratula con l’avversario. Grande festa nelle compagini laburiste dove il leader e futuro Primo Ministro, che nella sua carriera ha ricoperto importanti incarichi politici e presieduto il Ministero norvegese degli Esteri e della Salute, non trattiene l’emozione all’arrivo dei risultati: “abbiamo aspettato, abbiamo sperato, abbiamo lavorato duro, e ora possiamo dirlo: ce l’abbiamo fatta!”. Con la vittoria dei laburisti in Norvegia si consolida la predominanza della sinistra nei paesi del Nord Europa, con Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia che presentano in carica contemporaneamente tutti governi di centrosinistra, una cosa che non accadeva dalla fine degli anni Cinquanta.