E’ di almeno 30 miliardi la somma che dovrà trovare per allestire la cosiddetta “manovra minima” un eventuale governo politico che forse si formerà dopo le consultazioni del Capo dello Stato. L’asticella sarebbe nettamente più bassa dai 50 miliardi evocati al Senato da Matteo Salvini (nella replica alle pesanti critiche mosse dal premier dimissionario Giuseppe Conte) per alimentare il piano leghista sul taglio delle tasse, con in testa la flat tax, e la spinta sugli investimenti.
Possibile deficit aggiuntivo? Nel caso in cui prendesse forma un governo senza “sovranisti” (quindi, con una maggioranza “giallorossa”) non è da escludere che Bruxelles possa concedere l’ok a un deficit aggiuntivo di 8-10 miliardi, anche per ammortizzare meglio il rischio di recessione che sta attraversando l’Europa, viste pure le difficoltà dell’economia tedesca. Un governo con un mandato pieno dovrà in ogni caso individuare anzitutto i 27,6 miliardi già quantificati dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) necessari per garantire la completa sterilizzazione degli aumenti di Iva e accise (23,1 miliardi nel 2020) e far fronte al finanziamento delle spese indifferibili (quasi 2-3 miliardi) e di quelle sostanzialmente obbligate sul fronte investimenti. Il tutto al netto della correzione da apportare il prossimo anno per tenere i conti pubblici in linea con i parametri europei.
Gli interventi. Nel conto ci sarebbero i 3-4 miliardi (forse 5), per quanto meno un assaggio di interventi espansivi “pro-crescita”,che potrebbe essere rappresentato da una sforbiciata al cuneo fiscale-contributivo su cui convergono, seppure con ricette diverse, M5S, Pd e Lega, ovvero i tre partiti coinvolti nelle trattative di queste ore per la formazione di un nuovo esecutivo (“giallorosso” o “gialloverde” bis) ed evitare così un rapido ritorno alle urne. Una scelta che può essere considerata un’opzione assolutamente sul tavolo. In questo caso, il Governo di garanzia chiamato a gestire la “fase elettorale”, eviterebbe di varare una legge di bilancio classica e si limiterebbe a neutralizzare per soli 4 mesi (fino ad aprile 2020) le clausole di salvaguardia fiscali e a finanziare le spese obbligate più urgenti per garantire l’agibilità di gestione della Pa all’inizio del prossimo anno.
Favorevoli i tecnici della Ragioneria generale dello Stato. Si tratterebbe di un’operazione da realizzare facendo leva su un decreto legge ad hoc da non più di 6 miliardi, che potrebbe essere utilizzato anche nel caso in cui fosse necessario ricorrere all’esercizio provvisorio. La copertura verrebbe garantita in parte dal cosiddetto “tesoretto” da quota 100 e reddito di cittadinanza: risparmi finali per almeno 1,5-2 miliardi nel 2019 che si andrebbero ad aggiungere agli 1,5% miliardi già ipotecati con “l’aggiustamento” di luglio. Un altro miliardo potrebbe essere ricavato dalle ricadute delle maggiori entrate fiscali (in primis quelle dalla fatturazione elettronica) attese per fine anno. La fetta mancante dovrebbe essere individuata aprendo una trattativa ad hoc con la Commissione europea, che, di fronte a un quadro politico denso d’incognite e, ancora di più, in caso di elezioni anticipate, potrebbe non erigere barricate.
La manovra. Non si tratta di una partita in salita. Lo stesso potrebbe rivelarsi anche al momento della composizione della manovra vera e propria, quando con tutta probabilità da Palazzo Chigi e dal Mef partirà la richiesta per raddoppiare se non triplicare la quota minima, in termini di flessibilità, pari allo 0,18% di Pil già chiesta alla Ue quest’anno per gli interventi sul ponte Morandi e contro il dissesto geologico, per la quale il governo Conte aveva già annunciato la richiesta di conferma.