È in constante crescita il fatturato delle aziende italiane nel settore e-commerce, un trend che vede al centro delle scelte dei consumatori tempo libero e turismo che insieme generano circa il 70% del fatturato annuale. Ne parliamo con Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, il digital hub per l’evoluzione delle imprese italiane sul mercato digitale.
Netcomm, quali sono le sue attività principali, il suo scopo e lo spirito con cui è stata fondata? Netcomm è stata fondata nel 2005, quando mi occupavo di startup del settore e-commerce e insegnavo al Politecnico di Milano, con lo scopo di creare una piattaforma di knowledge exchange tra le imprese del settore. L’ idea era che le imprese potessero condividere i loro modelli di business, i problemi da affrontare e l’evoluzione del mercato. Una delle prime attività di Netcomm è stata fondare un Osservatorio sul Commercio Eelettronico e dal 2005 si è sviluppata moltissimo fino ad arrivare, oggi, a contare 400 imprese: da piccole imprese fino a quelle più grandi come Amazon, Zalando, Accenture, Google, Facebook, Pay Pal e Intesa. Ci occupiamo anche di regulation, lavoriamo con il governo, parlamento ed authorities italiane ed europee, con tavoli su diversi temi: dall’ Iva alla Digital Tax per arrivare al tema delle proposte governative sulle quali lavoriamo per dare la nostra opinione. Altro settore importante è quello degli eventi, ne facciamo 6 durante l’anno di cui uno molto importante a maggio che quest’anno ha visto 17mila persone, professionisti con 150 workshop. C’è anche Netcomm services che sviluppa attività di consulenza, formazione e servizi alle singole imprese. Ad esempio con intesa abbiamo formato 1500 imprese negli ultimi 3 anni.
Come le aziende italiane hanno visto il mercato dell’e-commerce e come si sono poste nei suoi confronti? L’Italia è il paese più arretrato in Europa per quanto riguarda l’evoluzione verso l’e-commerce per diversi motivi. Il primo motivo è la dimensione delle imprese poco propense a fare investimenti tecnologici, la scarsa competenza tecnologica tra gli imprenditori italiani e la mancanza di competenze tecnologiche da assumere per poter fare progetti di innovazione ed e-commerce. Gran parte delle imprese sono legate alla loro distribuzione fisica, sia in termini di retail che in termini di distributori, gli imprenditori hanno sempre visto l’e-commerce come un elemento che poteva portarli ad inimicarsi le reti distributive o come un modo per fare shopping online ma in realtà non è shopping ma la digitalizzazione di tutti i processi, comunicazione e la digitalizzazione dei canali fisici perché quando parliamo di e-commerce parliamo di omni canalità, non di shopping online.
Negli ultimi anni c’è stato un adeguamento rispetto al passato da parte delle aziende italiane? Continuiamo ad essere la maglia nera sia in termini di consumi che di imprese digitalizzate anche se il mercato italiano registra un incremento dei consumi digitali, da anni, del 15 – 16 % quindi è l’unico settore che cresce a doppia cifra anche in un’economia stagnante come l’italia. C’è un incremento significativo ogni anno delle imprese che si convertono al digitale, siamo arrivati a circa 30 – 40 mila imprese che in Italia vendono online contro le 200mila francesi, le 550mila tedesche mentre in Europa abbiamo superato il milione.
Si parla di un mercato da più di 41mld in Italia secondo i dati della Casaleggio e Associati. Secondo lo studio che ha condotto l’osservatorio che abbiamo con il Politecnico sono 31 miliardi, i dati della Casaleggio non sono da prendere in considerazione perché la Casaleggio mette all’interno del suo perimetro anche i giochi online. Il dato che emerge dalla ricerca che facciamo con il Politecnico da ormai 15 anni è il seguente: il mercato 2019 sarà di 31 mld e 570 con una crescita del 15%. I settori che crescono di più sono l’informatica con la crescita del 18%, abbigliamento 16%, alcuni settori emergenti sono quello dell’arredamento 26% e il food e grocery di ben il 39%. Altro dato interessante è la penetrazione dell’online sui consumi totali, il settore che ha la penetrazione maggiore rimane il turismo che rappresenta il 37% del consumo totale anche perché la biglietteria è online, e gli altri due settori che hanno una penetrazione molto alta sono l’informatica ed elettronica con il 27% e l’editoria con il 20%
Piccole e medie imprese costituiscono la maggior parte del tessuto produttivo italiano e questo elemento si riflette anche sull’e-commerce. Come si riesce a coniugare la vocazione artigianale legata ai processi produttivi tradizionali e a trasporla nei processi che riguardano la digitalizzazione? E’ necessario che gli aggregatori e i fornitori di servizi come banche e associazioni e le stesse regioni diventino degli snodi di conoscenza: formare le imprese e aiutarle a capire i passi che vanno fatti per sfruttare queste nuove tecnologie. Noi lo stiamo facendo firmando protocolli d’accordo con diverse associazioni merceologiche come con Cosmetica Italia e stiamo aiutando imprese della cosmetica a sviluppare un proprio modo di fare digitale con molta attività di formazione operativa, portandole in Cina su diversi marketplace come Alibaba, permettendo alle piccole imprese di fare una condivisione di costi ed esperienze, mantenendo naturalmente la propria autonomia di marchio, brand e prodotto. Alle piccole imprese artigiane va fatto recepire il messaggio che molti dei servizi oggi possono essere accessibili attraverso il cloud, senza portarsi in casa tecnologie, server, etc, è possibile sfruttare le tecnologie del cloud per essere presenti in questo mondo digitale. Bisogna valorizzare in chiave digitale il saper fare italiano, dal saper fare un dolce alla ceramica, raccontando questa expertise online, dove ci sono 2mld di persone cercano prodotti online, se non ci si fa trovare è come se ci privassimo di 2 miliardi di potenziali clienti.
Si parla della “Death by Amazon”, la scomparsa delle aziende legata alla competizione delle piccole imprese con i colossi dell’e-commerce soprattutto per quanto riguarda retail e servizi che offrono queste grandi imprese rispetto ai mercati e agli store fisici. Qual è la ricetta per non lasciarsi inghiottire da questi giganti? Il tema vero è che in tutti i settori c’è stata una rivoluzione dei modelli di business legata a quella che io definisco la “platform economy”. Mi occupo di questo settore da più di 20 anni e ricordo le discussioni sui negozi di musica che hanno chiuso perché tutto è passato su Spotify, iTunes e altre piattaforme. Stesso ragionamento lo ricordo sul rapporto tra Blockbuster e Netflix. Netflix ha spazzato via Blockbuster e anche gran parte della distribuzione cinematografica. La platform economy in tutti i settori come anche in quello dell’ospitalità con Air BB sono fenomeni inarrestabili. E’ vero che al contempo sono dei fenomeni che possono favorire nuovi modelli di sviluppo, perché un’impresa che ha un prodotto eccellente attraverso le piattaforme come Aliexpress, Amazon ed Ebay possono raggiungere mercati che prima erano impensabili.
Senza l’e-commerce un anziano che sta in una località sperduta di una comunità montana non avrebbe accesso a prodotti e servizi per mancanza di distribuzione. Un nuovo fenomeno sta emergendo, il consumatore non cerca solo il prodotto online ma il processo d’acquisto passa attraverso il negozio fisico, il futuro non sarà online, sarà sempre più fisico, non per nulla imprese come Amazon hanno comprato negli Stati Uniti catene come Whole Foods perché il consumatore è ancora umano e vuole toccare la merce: vederla e sentire il sapore del gelato o toccare il tessuto
Secondo lei i giganti della tecnologia (Facebook, Amazon) nei vari campi dell’e-commerce che esercitano e fanno business in Italia devono pagare le tasse nei paesi in cui operano o il modello attuale è esatto? È sostenibile per uno stato o per l’Europa avere un competitor per le sue aziende che non versa quasi alcun contributo fiscale nelle sue casse? Giorni fa sono stato ad un evento a porte chiuse al Ministero delle Finanze insieme a tutte le piattaforme che lei ha citato, insieme ad importanti docenti e professori, esperti fiscali della OCSE e della Commissione Europea. Abbiamo ragionato per circa 10 ore su questi punti. La risposta è che il futuro della tassazione non è un problema dei giganti ma di tutti. La tassazione deve essere omogenea per tutti gli operatori proprio per quello che le dicevo prima: non è pensabile avere una tassazione per il mondo fisico e una per quello digitale. Si dovrebbe trovare un modello di tassazione channel neutral, indipendente dal canale, dalla località e dagli aspetti della produzione. La tassazione del futuro dovrà essere costruita tenendo conto del mondo digitale e del dove il prodotto è consumato perché dove il prodotto è consumato è lì che si crea il valore. Ci vuole un accordo che è all’opposto di quello che sta avvenendo con la chiusura politica in diversi paesi, lo scontro che sta sui dazi tra America, Europa ed Asia, è un elemento che va superato perché il digitale non ha confini.
Il mercato dei dati è parte dell’e-commerce, quale può essere il suo futuro? I dati sono il petrolio del futuro, qualsiasi impresa ormai non farà utili sui margini della vendita del singolo prodotto ma farà sempre più utili sulla base di quanto l’impresa conosce i suoi clienti, riesce a servirli sul lungo termine. Questo fa cambiare i modelli di business del futuro, i dati sono un elemento importantissimo, che però sta cambiando ancora una volta perché la normativa rimane sempre più indietro: prima abbiamo normato i cookies che sono stati superati da altri modelli di interpretazione del cliente e stiamo entrando ormai in un mondo dove ormai non è il dato che vale in quanto tale, ma la capacità di interpretarlo, analizzarlo e valorizzarlo. Qui entra in campo la tecnologia dell’intelligenza artificiale che farà la differenza competitiva tra le imprese che sanno utilizzarla sia sotto il profilo delle personalizzazioni che sotto quello dei bisogni. La competizione è a livello internazionale e vede il 41% delle imprese di intelligenza artificiale presenti negli Stati Uniti, il 20% in Asia e l’8% in Inghilterra. La battaglia è appena cominciata.