Non si ferma il numero di decessi causati del nuovo coronavirus, che – stando ai dati diffusi dal Center for Systems Science and Engineering della John Hopkins University – ha fin ora tolto la vita a 565 persone. Nonostante i casi di contagio – per ora fermi ad alcune decine – anche al di fuori dei confini cinesi, l’Oms ha fatto sapere che il coronavirus “non è ancora una pandemia”. Ma c’è un altro aspetto – attualmente secondario rispetto alla salute delle persone – che desta altrettante preoccupazioni: il grave danno che il coronavirus potrebbe recare all’economia della Cina, e quindi del mondo intero.
Effetto domino. Èproprio quanto potrebbe accadere – e che già in parte sta accadendo – all’economia mondiale nel caso in cui l’impatto del coronavirus sul paese del Dragone fosse tale da costringerlo in uno stato di stasi obbligata. I tempi sono ancora troppo immaturi per stimare l’entità esatta di tale impatto, ma secondo il report pubblicato mercoledì scorso da Nomura, importante holding finanziaria giapponese, quest’ultimo sarà superiore a quello prodotto dalla Sars nel 2003. Nello specifico, quest’ultima “si mangiò – si legge su Linkiesta – 25,3 miliardi di dollari di Pil cinese, oggi si parla di 40 miliardi”. Secondo gli analisti di Nomura infatti nel primo trimestre del 2020 il Pil della Cina precipiterà, secondo un ritmo che potrebbe raggiungere il -6% (QuiFinanza).
Il diverso ruolo svolto oggi dalla Cina nel mercato mondiale è tra le prime cause a far sospettare la possibilità di ripercussioni su scala planetaria: dal 2003 infatti la Cina ha visto una crescita esponenziale, per la quale oggi – come ha ricordato la società svizzera di gestione di fondi Notz Stuck – il peso della sua economia rispetto a quella globale “è pari – si legge sul Corriere della Sera – al 19%”, mentre nel 2003 non superava il 6%. Ma non irrilevante è anche il fattore geografico: la provincia dello Hubei – dove si trova la città di Wuhan, focolaio dell’epidemia – è tra le prime dieci province della Cina per importanza in termini di industria, tecnologia e finanza. L’isolamento di quest’area – tra le altre cose, anche punto di snodo verso le principali metropoli cinesi – non poteva quindi non ricadere sull’economia dell’intero paese. I primi a mostrarlo sono i crolli dei listini asiatici, tra cui le Borse di Hong Kong e Shanghai, che sono crollate dell’8% dopo la riapertura dalle ferie del Capodanno cinese.
Le conseguenze per l’economia italiana, come per quella mondiale, potrebbero essere quindi piuttosto significative. Per l’Italia, nello specifico, basti pensare che – stando ai dati Ispi – la Cina rappresenta il nono mercato mondiale del nostro export (soprattutto da Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia), per un valore complessivo superiore nel 2018 ai 13 miliardi di euro. Le maggiori ripercussioni potrebbero riguardare soprattutto – come ha dichiarato a Linkiesta Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina – il turismo e il lusso. A tal proposito è sufficiente ricordare che in Italia “gli acquisti di lusso esentasse – prosegue Linkiesta – nel 2019 hanno avuto come primi attori proprio i cinesi (28% del totale), per un totale di spesa di 462 milioni di euro”.
L’impatto sul turismo. Il ruolo chiave svolto dai turisti cinesi in Italia è evidente: “ogni mese – ha osservato il sindaco di Milano Beppe Sala – il turismo cinese porta a Milano 300 milioni di euro tra alberghi, shopping e ristoranti. Oggi siamo a –40% rispetto al periodo precedente al virus”. Si tratta di un dato che bene esprime quanto sia vitale per l’economia italiana il turismo cinese, il cui andamento – data la chiusura delle tratte aeree dal paese asiatico da parte di diverse compagnie aree – oggi sembra più incerto che mai. Un isolamento, quello che il coronavirus ha imposto alla potenza asiatica, che rischia quindi di rivelarsi un’arma a doppio taglio, i cui effetti, sebbene non immediatamente evidenti, potrebbero mettere in serio pericolo gli equilibri economici dell’intero pianeta.