Al culmine delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, lo scorso 19 maggio il colosso tecnologico americano Google ha deciso di sospendere i rapporti commerciali con Huawei, azienda cinese tecnologica leader del settore. Successivamente si sono aggiunte altre compagnie americane come Qualcomm, Intel e Broadcom. Intanto l’azienda di Pechino si è vista via via sospendere i lanci dei prodotti da parte di partner importanti come Vodafone UK e stima i danni in una possibile perdita di circa un quarto delle vendite nel solo anno corrente.
Scontri commerciali tra USA e Cina. Che tra gli USA e la Cina ci sia una guerra commerciale in atto non è un segreto, si è passati dai dazi di inizio anno alla situazione attuale di Huawei che, forse, potrà essere la pedina sulla quale ha deciso di puntare Trump per recuperare quel primato americano che la crescita della Cina (non solo economica ma anche tecnologica, demografica e militare) minaccia in modo sempre più consistente con iniziative come la Via della Seta, una “marcia verso il Mediterraneo” che aumenterà in modo sostanziale il “soft power” cinese nella regione. Parliamo di questi temi con Mario Caligiuri, professore all’Università della Calabria tra i primi a introdurre lo studio scientifico dell’intelligence negli atenei italiani. Dirige infatti il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, creato insieme a Francesco Cossiga e giunto alla sua ottava edizione.
Professore Caligiuri grazie per aver accettato l’intervista. Partiamo subito con una delle domande che molti si pongono: qual è il vantaggio della Cina? Come ha fatto a sviluppare un’economia tanto forte e influente? Le ragioni del vantaggio della Cina sono geopolitiche: possiede il territorio e la popolazione maggiori del mondo. Con la globalizzazione il “gigante cinese”, sopito per secoli come avevano notato Napoleone nell’Ottocento e Curzio Malaparte nel Novecento, adesso è al centro del mondo. L’élite politica cinese ha ben compreso questa eventualità, osservando da lontano la crisi sempre più accentuata delle democrazie occidentali, dimostrando che le logiche capitalistiche e lo sviluppo economico non sono per nulla collegate ai sistemi democratici. Anzi, con la globalizzazione potrebbe essere in gran parte l’esatto opposto.
Dobbiamo preoccuparci della Cina? Quali sono le minacce e quali le possibili finestre di opportunità per l’Italia? Nella globalizzazione tutti i Paesi sono concorrenti. Dobbiamo preoccuparci della Cina nello stesso modo con il quale ci preoccupiamo, per fare altri esempi, della Germania, della Tunisia o della Francia. Minacce e opportunità dipendono da come noi italiani realmente definiamo ed effettivamente tuteliamo l’interesse nazionale. L’Italia è al centro del Mediterraneo che è l’area di libero scambio più estesa del pianeta. Potremmo svolgere un ruolo decisivo negli equilibri mondiali, sia dal punto di vista economico che politico. Occorrerebbe però forse una classe dirigente meno improvvisata.
Qual è ad oggi lo stato dei rapporti tra il nostro paese e la Cina? Ritengo molto buono. Se Xi-Jinping, che si muove di rado, ha scelto di venire in Europa e per primo Paese ha toccato l’Italia, indispensabile punto di approdo della Via della Seta marittima, qualcosa vorrà pur significare. Forse noi non ci rendiamo conto del ruolo che possiamo avere nel Mediterraneo, circostanza che però ai cinesi, guardandoci da lontano, non sfugge.
Come reputa il Memorandum sulla Via della Seta firmato lo scorso 23 Marzo? È una semplice lettera di intenti. Va riempita di contenditi poiché oscilla tra il quasi tutto e il quasi nulla.
Quali effetti può avere sull’economia italiana? Dipende appunto da come lo si utilizza. L’Italia, nonostante una politica a volte assai incerta, ha straordinarie capacità imprenditoriali. La Cina è uno dei mercati planetari più promettenti per i prossimi decenni: non ne possiamo rimanere assolutamente esclusi.
Dopo la recente questione del “Huawei ban”, come crede si evolveranno le relazioni tra Stati Uniti e Cina? E’ difficile prevederlo. La guerra è già in corso. Se scatterà la trappola di Tucidite”, cioè se la potenza egemone (in questo momento gli USA) si muoverà apertamente contro quella emergente (rappresentata dalla Cina), gli esiti potrebbero essere negativi per entrambi. Di sicuro, il campo di battaglia sarà sempre di più il controllo delle comunicazioni, del web e, soprattutto, dell’Intelligenza artificiale.
Quali saranno, secondo lei, le prossime mosse del governo cinese? Il Governo cinese le ha già in mente, perché non si muove a caso. Si ricorda quello che recentemente ha detto Xi-Jinping? “Le vere democrazie programmano”.
Qual è il ruolo dell’Italia, da sempre considerata ad “influenza atlantica”, nella ridiscussione degli assetti geopolitici mondiali? L’Italia è una media potenza mondiale che non sempre riesce a tutelare gli interessi nazionali nell’ambito delle alleanze delle quali fa parte e nel mercato economico mondiale. Il nostro Paese dalla fine della seconda guerra mondiale fa parte in modo convinto del Patto Atlantico. Questo però non ci ha impedito negli anni Cinquanta e Sessanta di colloquiare con il mondo arabo, sviluppando una politica energetica autonoma, grazie a quel grande uomo di Stato che era Enrico Mattei. Inoltre negli anni Novanta e Duemila le relazioni con la Russia di Putin, la Libia di Gheddafi e anche la Turchia di Erdogan sono state certamente utili per l’Italia. Adesso c’è la “questione Cinese”: da come sapremo gestirla dipende non solo il nostro ruolo ma anche il nostro benessere. È una responsabilità della quale dovrebbero farsi carico le classi dirigenti, come stanno già facendo da tempo in altre Nazioni, alcune delle quali molto prossime a noi.
Quale potrebbe essere lo sguardo e il contributo dell’intelligence nella “questione cinese”? Il ‘certain regard’ dell’intelligence è sempre necessario per tutelare l’interesse nazionale. La visione dell’intelligence, che rappresenta il cuore del ‘deep state’, è dilatata nel tempo e nello spazio: prescinde dalle legittime alternanze politiche e si orienta nel lungo periodo. Appunto per questo rappresenta un elemento fondamentale per i decisori pubblici, in quanto è tenuta a coniugare a tutti i livelli il realismo geopolitico con le prospettive future, l’interesse nazionale e le potenzialità del Paese. Appunto per questo l’intelligence è chiamata a svolgere, dal mio punto di vista, un ruolo sempre più decisivo perché si colloca ai bordi del caos, cercando di interpretare i segni del futuro. Che a volte sono molto forti, come nel caso della Cina, e altre sono invece assai deboli, come il disagio sociale che potrebbe essere sempre più crescente nel nostro Paese fino a diventare una questione di sicurezza nazionale.
Scritto da Tommaso Stanizzi