Dal 23 al 25 ottobre la città di Torino ha ospitato la quarta edizione di Utopian hours, il primo festival internazionale di city making in Italia. Organizzato dall’associazione Torinostratosferica, il festival da quattro anni si occupa di esplorale le tematiche legate al mondo delle città contemporanee e della loro evoluzione. The City at Stake, ovvero La città a rischio, è stato il titolo di questa ultima edizione: non solo la pandemia da nuovo Coronavirus, ma anche le problematiche legate ai rischi ambientali, obbligano infatti un ripensamento dei nostri spazi urbani.
Questa sfida, tanto necessaria quanto stimolante, è stato il focus degli incontri e dei work shop, tenuti durante i tre giorni del festival da esperti di tutto il mondo. Abbiamo avuto modo di discuterne con uno di loro, l’architetto e ingegnere Carlo Ratti, docente presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston, USA, dove è direttore del MIT Senseable City Lab.
Come l’avvento del cosiddetto “Internet delle cose” trasformerà il lavoro dell’architetto urbanista e l’architettura della città. Siamo di fronte ad una rivoluzione?
Credo che la rivoluzione riguarderà soprattutto il modo in cui ci approcciamo alla progettazione, destinato ad essere sempre più interdisciplinare e interconnesso. Non più l’architetto prometeico e solitario del ventesimo secolo, bensì una nuova figura che chiamerei “architetto corale”.
Il titolo per la quarta edizione di Torinostratosferica è The City at Stake (La città a rischio). Quali sono i rischi per la città contemporanea e perché si parla di crisi della città?
C’è chi sostiene che il Covid-19 porterà alla fine delle città. Io non credo che sia così. In questi mesi molte aree urbane soffriranno – soprattutto in quelle città globali come Milano, New York o Londra dove ci sono i quartieri generali delle grandi multinazionali. Ma nel lungo periodo sono ottimista. Le nostre antiche città sono sopravvissute a calamità e pandemie di gravità devastanti, e sono sempre risorte. Pensiamo che a metà del Trecento, la peste falcidiò il 60 per cento della popolazione di Venezia. Non per questo nei secoli successivi abbiamo rinunciato a vivere nelle sue bellissime calli o ad affollare i suoi teatri. Credo che in un futuro non troppo lontano torneremo alla Fenice, pigiati l’uno contro l’altro. E quando ci saremo scordati del virus torneranno anche gli stadi affollati, gli abbracci, i baci e persino le strette di mano sudaticce.
Lei è Direttore del MIT Senseable City Lab, quindi conosce molto bene anche contesti diversi da quello italiano. In Italia qual è il livello dell’attenzione destinata a temi quali l’architettura urbanistica e in genere alla valorizzazione della città?
L’Italia è sempre a macchia di leopardo, è difficile generalizzare. Tuttavia, una considerazione generale: le nostre città storiche non sono mai riuscite ad adattarsi veramente alle tecnologie del Novecento, pesanti, invasive, incompatibili con il patrimonio culturale del nostro Paese. Le nuove tecnologie del digitale sono invece invisibili e leggere e possono rappresentare un’opportunità in più per le città storiche italiane.
Quanto è importante la dimensione della sostenibilità per gli architetti di oggi e per quelli di domani? Tra le città italiane ce n’è qualcuna in grado di porsi come modello da seguire per quanto riguarda questo specifico aspetto?
Credo che di fronte alla crisi dell’Antropocene, la sostenibilità sia una dimensione imprescindibile per l’architettura contemporanea. Più in generale, noi cerchiamo di lavorare per una maggior integrazione tra mondo naturale e mondo artificiale – un tema su cui oggi Milano è all’avanguardia. Penso ai lavori di colleghi come Stefano Boeri, Mario Cucinella, Michele De Lucchi e molti altri. Noi stessi vi ci stiamo cimentando, come abbiamo fatto con Vitae, un grande edificio per uffici di Covivio vicino alla Fondazione Prada con una grande vigna che si arrampica fino sul tetto. Oppure con il masterplan di Mind, sull’ex are di Expo Milano 2015, in cui naturale e artificiale si incontrano in un nuovo Decumano verde che diventa spazio di aggregazione per l’intero sito.