I più scettici lo avevano anticipato già qualche tempo fa e i fatti degli ultimi giorni lo hanno confermato: Matteo Renzi ha lasciato il Pd per fondare il suo nuovo partito Italia Viva. Una mossa, quella dell’ex premier, che segna l’ennesimo colpo duro al Pd, sempre più spesso luogo di smembramenti e divisioni. Da Calenda a Richetti, quello di Matteo Renzi è stato infatti solo l’ultimo degli addi incassati dal partito dall’avvio del Conte Bis.
“Penso che sia un errore dividere il Pd”. Non nasconde il disaccordo rispetto alla scelta di Matteo Renzi il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che in un’intervista al Corriere della Sera ha parlato dell’“esigenza di rilanciare una radicale riforma del partito”, in grado di traghettare quest’ultimo verso il futuro. Gli obiettivi, a detta del segretario, sono e resteranno quelli promessi agli elettori, ovvero “realizzare con i fatti quella svolta annunciata che l’Italia si aspettava”. È infatti proprio agli elettori che guarda Zingaretti, tanto che alla domanda su un possibile ritorno di Bersani e Speranza, sostenuto dalle stesse dichiarazioni di Renzi durante la trasmissione Tutta la città ne parla su Radio Rai Tre, va dritto al punto: “Questo tema è privo di fondamento. Io mi auguro che tornino i milioni di elettori che abbiamo perso il 4 marzo 2018 e che stanno tornando come abbiamo visto alle ultime Europee – e aggiunge con una punta di amaro sarcasmo – questa storia delle porte girevoli da cui uno entra ed esce è quanto di più lontano dalla realtà e dal futuro del Pd”.
L’ennesima divisione. Anche per Dario Franceschini non ci sono dubbi: la scelta di Renzi è stato “un errore” non da poco. Il momento delicato ha spinto infatti il ministro dei Beni Culturali a ricordare in un tweet come le divisioni interne alla sinistra abbiano favorito nei primi anni ’20 l’ascesa del fascismo. Insomma, la preoccupazione tra i piani alti del Nazareno è tangibile, mentre quel sogno “di un grande Pd, baricentro di un’alleanza più larga” – come ha detto Zingaretti a Rai Radio1 – sembra diventare sempre più difficile da realizzare, soprattutto considerate le diverse divisioni interne che nelle scorse settimane hanno attraversato il Pd.
Da Calenda a Richetti, a precedere Renzi nel dire addio al Pd sono stati nell’ultimo mese diversi dem. L’aprifila in questo senso è stato l’europarlamentare Carlo Calenda che ha salutato il suo partito ancor prima che si insediasse al Parlamento. A motivare la sua scelta l’inconciliabilità con i valori di quelli che sarebbero stati gli alleati di governo, ovvero i pentastellati. E proprio Calenda aveva predetto la mossa di Renzi, o almeno la volontà di quest’ultimo di distaccarsi dal partito, quando dalla Festa Pd di Pesaro i primi di settembre aveva annunciato “Renzi formerà i suoi gruppi parlamentari a ottobre: lo sanno tutti”. A seguirlo, sebbene con piglio meno deciso, è stato il senatore Matteo Richetti che fin da subito, in tempi ancora non sospetti, era stato l’unico nella direzione del Pd a votare contro il mandato a Zingaretti per formare il governo. Il suo addio definitivo al partito è arrivato però solo più tardi, ovvero dopo la decisione di non votare la fiducia al Conte Bis.
Impossibile un’alleanza tra i tre. Ora, i due dissidenti, al lavoro uno accanto all’altro per la nascita di un nuovo movimento politico, non accettano paragoni con l’ex premier. “Doveva uscire prima. E non dare il via libera all’accordo di governo con il Movimento 5 Stelle” ha infatti sottolineato Richetti a Il Fatto Quotidiano. Rincara la dose Calenda che dalle pagine del Messaggero dice “impossibile” qualsiasi alleanza con un partito, come sarà quello di Renzi, nato da “una scelta di Palazzo” e chiude lapidario: “Io non faccio scissioni. […] Noi siamo quelli che non usiamo slogan o vaghezze o ideologie. Ragioniamo, al contrario degli altri, per priorità e obiettivi pratici e tangibili”.